
Definito da Nichi Vendola rappresentante di una «destra colta, con il loden», Walter Veltroni reagisce. Sul piano personale «con indignazione di fronte a un attacco cinico, verbalmente violento». Sul piano politico «perché in quelle parole c'è un'idea che non condivido e mi preoccupa. Si appiccicano etichette di traditore e nemico a chi non la pensa come te. È un vecchio vizio». Per questo, dice Veltroni con grande sincerità, «le scuse di Nichi sarebbero gradite».
Veltroni ricorda, «senza paragonarmi a loro», i casi di altri uomini di sinistra "condannati" da sinistra: i fratelli Rosselli, Di Vittorio, Lama, Berlinguer, Trentin.
«Quello che ho detto sull'articolo 18 è la posizione del Pd. Se non va bene a Vendola, allora c'è un problema politico, qualcosa di più profondo». Ma l'accusa di passare a destra, quella no, è inaccettabile: «La mia è una storia di sinistra», ricorda l'ex segretario. «E sui licenziamenti ho detto quello che dice Bersani, anche meno».
Dopo il silenzio dell'altro ieri a Veltroni arriva la solidarietà del Pd. «Certamente Walter non è di destra», dice D'Alema. «Nel Pd si discute in maniera libera, non è giusto dire che Veltroni è di destra», aggiunge il bersaniano Migliavacca. E Vendola? Niente scuse, per ora. Parla il presidente di Sel Fabio Mussi: «Ripetere il mantra "l'articolo 18 non è un tabù" esprime una posizione di destra. E lasciamo riposare Berlinguer, Lama e Trentin». Ma, aggiunge Mussi, Veltroni forse si riferiva ai suoi compagni del Pd.
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