
14/09/10
Corriere della Sera
È un Pd in fermento, con il malessere crescente di chi crede ancora nel progetto originario, la vocazione maggioritaria, minacciata da una politica delle alleanze larghe. Walter Veltroni si dice «preoccupato della situazione, di quello che viene fuori dai sondaggi». E Walter Verini, l'uomo a lui più vicino, esclude derive finiane ma non fa sconti: «È molto diffusa la preoccupazione per le difficoltà del partito: siamo al minimo storico». Veltroni, che si dice contrario a gruppi autonomi in Parlamento, già questa sera al Coordinamento potrebbe chiedere un cambio di linea: «Il Pd deve rimanere il perno centrale nella costruzione di un polo riformista. È nel Pd che continuerò a dire le mie opinioni. Spero che sia possibile dirle perché nei giorni passati ho visto cose che corrono il rischio di mettere in discussione la forza del partito: comunicati, dichiarazioni, interviste».
Disagio tanto condiviso che nella Direzione del 27 potrebbe sfociare in una mozione trasversale. Anche di questo avrebbero parlato Veltroni e Beppe Fioroni, che si sono incontrati ieri mattina. Il leader dei popolari chiede iniziative comuni per «rilanciare il progetto che ci fece arrivare al 34 per cento»: «Siamo entrati nel Pd perché credevamo in un partito innovatore. lo non ho cambiato idea, se altri l'hanno fatto, non ci faremo sfrattare. E rilanceremo la vocazione maggioritaria, intesa non come autosufficienza, ma come ambizione a rappresentare la complessità, a dire no ad alleanze con Prc e Pdci e a fame soltanto con chi condivide progetti chiari».
Per Giorgio Tonini serve «uno scossone»: «Questo gioco delle alleanze, geometrie involute che prevedono cerchi concentrici e tavoli paralleli, ci ha portato in un vicolo cieco. Oggi il Pd non ha una voce sua, fa eco alle proteste. Ed è subalterno a Casini e Vendola». Per Tonini è stato sbagliato smantellare il «governo ombra», sbagliato «sposare la piattaforma della Cgil e non considerare la sensibilità della Cisl», e «catastrofico» cedere «la bandiera delle primarie a Vendola». Per non parlare dei quarantenni, i «giovani turchi» contrari alle derive «hollywoodiane»: «Un documento nostalgico, che addebita la fine di Pci e Dc a "mode nuoviste"».
Ancora più critico Salvatore Vassallo: «Il Pd di Bersani è nato guardando indietro e non ha mai cambiato rotta». Se Federica Mogherini non considera «un dramma» il dibattito interno e chiede di «concentrarsi sulle proposte concrete», Enrico Morando vede un bivio: «Vogliamo una union sacrée contro Berlusconi o un partito a vocazione maggioritaria?». La seconda, naturalmente. Con frecciatina a D'Alema: «Se pensiamo che l'Italia è naturaliter di destra, e si sa chi dice queste cose, allora non avremo mai l'egemonia in questo Paese». Anche per Jean-Léonard Touadi «sono tante le cose che non vanno»: «Avevamo oltre il 33 per cento, poi ci siamo ripiegati. Bisogna smuovere le acque, ricordare che la questione cattolica non si appalta all'Udc e che non vogliamo un partito socialdemocratico. Che fine ha fatto il Pd?».
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