
Emma Bonino in un'intervista a "la Repubblica" di lunedì scorso sembra essersi convinta che il Partito democratico avrebbe voluto far vincere le regionali del Lazio a Renata Polverini. Quando Emma Bonino si era autocandidata a Roma, aveva tutti gli assi in tasca: dai sondaggi alle esperienze di vita. Già Concita De Gregorio, da direttrice e "l'Unità", disse a suo tempo di aver avuto l'impressione che il Pd non volesse sostenere la presidenza Bonino e, quando si rivolse ad un "altissimo" dirigente del Pd per avere dei lumi a riguardo, questi le avrebbe risposto: "A noi nel Lazio ci conviene perdere. Perché, siccome la Polverini è la candidata di Fini e siccome è l'unica sua candidata della tornata, se vince, Fini si rafforza all'interno della sua posizione critica del centrodestra e, finalmente, si decide a mollare Berlusconi e a fare il terzo polo, insieme a Casini. E noi avremmo le mani libere per allearci con Fini e Casini e andare al governo. Senza ovviamente che gli elettori ci mollino, senza perdere troppo consenso. Perché non saremo noi a condurre questa operazione: noi, perdendo oggi, daremo solo il via, il resto lo farà la crisi economica". Poi, come si sa, la storia ci insegna che le ciambelle non sempre riescono con il buco. Al governo andò Monti, la Polverini mollò Fini e rimase con Berlusconi. È plausibile che davvero la dirigenza del Pd abbia elaborato un simile piano strategico? In effetti è meno astruso di quello che sembra: nel senso che l'elettorato del Pd non ama Emma Bonino più di quanto possa amare Renata Polverini. Quando destra e sinistra si toccano, i liberali restano stritolati nel mezzo. Basta anche dare un'occhiata alle sezioni del Pd romano e laziale, molte delle quali sono ancora intitolate al Pci, gli iscritti sono quelli comunisti di un tempo e, quando si parla loro dei radicali, fumano gli occhi. Non si può escludere che una sindacalista dagli usi popolari, quali che siano le sue origini politiche, venga preferita. Non ci sentiamo di escludere e meno che mai di confutare la testimonianza della ex direttrice de "l'Unità"; e anche teniamo presente una variante, per la quale gli elettori del Pd avrebbero sentito più vicina a loro la Polverini, salvo poi doversi pentire amaramente della scelta - o della non scelta - compiuta.
Possiamo poi ritenere che i dirigenti del Pd fossero malvagi nella loro eterogenesi dei fini e pure dobbiamo anche prendere atto di un certo peso della realtà, quale la scarsa attrazione verso un candidato radicale. Del resto noi lo sappiamo bene. Quando nel 1989 facemmo un accordo con i liberali e i radicali per le elezioni europee, perdemmo voti in tutte le regioni storiche del partito. Se i vecchi repubblicani non volevano sentir parlare di votare Altissimo e Pannella, figuratevi i vecchi comunisti di votare Emma Bonino.
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