
Alla fine una nota ufficiale di Palazzo Chigi ha chiarito che Monti ieri non intendeva riferirsi all’attualità politica quando, intervenendo poco prima a un convegno dell’università di Roma Tre, aveva detto che lo Statuto dei lavoratori, pur essendo stato concepito in perfetta buona fede, aveva ottenuto effetti opposti a quel che si proponeva, rallentando la crescita dell’occupazione per via degli eccessi di protezione dopo l’assunzione e delle difficoltà di sciogliere il rapporto di lavoro.
Il putiferio che ne era nato, con una durissima reazione della segretaria della Cgil Camusso e un risveglio eccitato dei leader della sinistra radicale che hanno proposto il referendum sull’articolo 18, mentre l’ex ministro del Pd Damiano si metteva le mani sui capelli, hanno spinto il presidente del consiglio a una prudente frenata. Ma la polemica che ieri per alcune ore ha affollato le agenzie, almeno ha avuto il merito di mettere in luce l’equivoco che continua ad aleggiare sugli incontri tra governo e parti sociali.
Per Monti infatti, come ha spiegato in apertura del tavolo con i sindacati, si tratta di trovare modi opportuni per aumentare la produttività delle aziende e la competitività del Paese, in un momento in cui la crisi per la prima volta sembra al giro di boa e la ripresa, quando arriverà, premierà di più i paesi che si sono preparati in tempo. Per la Camusso, invece, il confronto sulla produttività chiesto dal premier è un modo per scantonare dal tema centrale della crescita e delle ricette che il governo deve trovare per incoraggiarla. Un irrigidimento che ha cancellato le pallide aperture del giorno prima della Cgil. Inoltre Monti non sembra affatto interessato a riproporre la concertazione, metodo che considera superato. Mentre Camusso, ma non solo lei al tavolo, per la verità, pensa che proprio da un ritorno alle classiche trattative degli ultimi vent’anni possa venire un cambiamento della politica economica del governo e gli interventi di spesa pubblica auspicati dai sindacati. Il che, viste le parole di Monti, potrebbe presto rivelarsi un’illusione.
Nelle more di una giornata segnata da polemiche, il premier è tornato anche a parlare del suo futuro, dicendo che non gli interessa fare “l’intellettuale d’area”. Chi pensava di inglobarlo in un prossimo governo politico come ministro dell’Economia, può considerarsi servito. Per la seconda volta in due giorni, però, il premier, pur confermando la scadenza di primavera per il suo governo, non è sembrato più così drastico nell’escludere la possibilità di una continuazione del suo impegno. Ma naturalmente alle sue condizioni.
© 2012 La Stampa. Tutti i diritti riservati