
02/09/10
Italia Oggi
Su impulso soprattutto dei radicali è partita una campagna a favore del collegio uninominale. Un aiuto di stampa, d'indubbiamente elevato livello, è giunto da un editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, quotidiano che ha ieri pubblicato un altro fondo sull'argomento, stavolta a firma da Giovanni Sartori. Quest'ultimo si è espresso per l'uninominale sì, però a doppio turno. Del resto, sono trascorsi decenni da quando sia Sartori sia Domenico Fisichella spiegavano, isolati, i meriti del sistema francese a un mondo politico scettico e sordo.
L'appello, vista la rilevante presenza radicale fra i promotori, è all'evidenza più a sostegno dell'uninominale a turno unico che non col ballottaggio. Come che sia, fa riflettere la presenza di esponenti della maggioranza tra i sottoscrittori. Salvo Fleres, senatore, Domenico Gramazio, senatore, Antonio Martino, deputato ed ex ministro, Mario Pepe, deputato, Marco Taradash, ora consigliere regionale, Gabriele Albertini, euro-parlamentare ed ex sindaco di Milano, Tiziana Maiolo, ex deputata, sono tutti esponenti del Pdl. Vi sono poi alcuni finiani: parlamentari nazionali (Maria Pia Germontani, Adolfo Urso, Mario Baldassarri e Benedetto Della Vedova) ed europei (Salvatore Tatarella, formalmente Pdl).
Bisogna, infatti, chiedersi quale interesse avrebbe il Pdl a collegi uninominali. Diciamo subito che il doppio turno, molto gradito a Gianfranco Fini, rivela dal'93 a oggi effetti più negativi che positivi per il centrodestra, quanto a candidati sindaci e presidenti di Provincia. Al ballottaggio, rispetto al centrosinistra, minore è la presenza alle urne, più labile la fedeltà al candidato più vicino rimasto in lista, maggiore la ripulsa nei confronti di un candidato alleato sì, ma non del proprio partito, per tacere infine di una constatata maggiore fuga verso il candidato avversario. Quindi, nel caso di un collegio uninominale politico a doppio turno, le possibilità che i vantaggi maggiori vadano a sinistra sono consistenti. Quanto al collegio uninominale secco, l'esperienza delle politiche svolte col Mattarellum dimostrò che gli elettori del centro-destra sostenevano i propri partiti nella scelta proporzionale, mentre li indebolivano nel maggioritario. Insomma, esprimevano un voto più politico quando c'era in 1 gioco il partito in quanto tale, mentre là dove la scelta verteva su persone si lasciavano distrarre o dalla presenza di un candidato avversario o dal fatto che il candidato in lista per il proprio polo non apparteneva però al partito preferito. Non è un caso che Peppino Calderisi, massimo esperto di questioni elettorali nel Pdl, abbia ricordato che solo la presenza dei simboli dei partiti accanto al nome del candidato di centrodestra (quando fu consentita dalla legge) attutiva gli effetti negativi.
Per dirla in termini semplici: l'elettore di centrodestra vuole votare per il proprio partito. Il candidato in un collegio uninominale può costituire un ostacolo al voto. Il rifiuto del voto diminuisce soltanto se vi è il simbolo del partito in cui il votante si riconosce. Dunque, il collegio uninominale danneggia il centro-destra. Appoggiare una (sterile) campagna, da parte di esponenti del centrodestra, può significare rispondere a proprie visioni politiche ben fondate, ma che non sono asetticamente sostenibili. Non si parla di modificare il sistema elettorale di un altro paese, ma quello italiano. Ebbene, qualsiasi modificazione introdotta al sistema vigente (tranne la reintroduzione delle preferenze) sarebbe peggiorativa, quanto a effetti elettorali, per il centro destra. Chi nel Pdl sostiene l'uninominale finisce con l'essere autolesionista.
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