
È giusto che il ministro degli Esteri italiano voglia promuovere un’azione politica per tentare una soluzione della crisi siriana e comprenda che questa non possa prescindere dalla partecipazione dell’Iran, come Emma Bonino ha detto in un’intervista alla "Repubblica".
L’Italia è anche costretta a passare all’iniziativa per cercare di attivare maggiori contatti di quelli di cui dispone, considerando che il collega della "Stampa" Domenico Quirico è scomparso nella regione di Homs, la più malfamata per lo stato dei combattimenti in corso.
Siamo tuttavia consapevoli che se la politica e la diplomazia ovviamente esercitano un ruolo predominante per risolvere le crisi interregionali, i fenomeni con cui ci troviamo a confronto oggi in medio oriente non rientrano negli schemi convenzionali delle crisi che il mondo ha conosciuto finora.
Del resto questo si capisce dalla difficoltà, per non dire del fallimento del piano di pace fra Israele e palestinesi, nonostante l’eccezionale attività politica e diplomatica che si è consumata negli anni. Non è una crisi fra due o più Stati quella israeliano palestinese, come lo fu ad esempio la crisi fra Israele ed Egitto, o Israele e la stessa Siria, ma appunto una crisi che concerne una parte consistente della popolazione assiepata principalmente nella striscia di Gaza che vorrebbe uno Stato autonomo che ancora non ha.
Lo stesso è quello che sta avvenendo in Siria, dove ci pare di capire che vi siano più fazioni che vorrebbero essere autonome dal regime di Damasco e lo stesso è quanto è avvenuto in Libia, il modello più consimile alla crisi siriana che altrimenti non trova precedenti. La soluzione della crisi libica però si è definita in un arco di tempo ragionevole grazie ad un pesante intervento di mezzi militari della Nato. Proprio quel supporto logistico e aereo dato alle truppe ribelli ha consentito di soppiantare il regime di Gheddafi che disponeva di una maggiore forza militare sul campo. La ragione per la quale la ribellione siriana mantiene un esito incerto è appunto che, come Gheddafi, Assad dispone ancora di una maggiore organizzazione militare e non ha nessun ostacolo occidentale che gli si frappone fra lui ed i ribelli, il sostegno dato a questi dal Qatar e altri stati arabi non è sufficiente per spezzare le reni del regime. La nostra impressione, lo diciamo sommessamente al ministro Emma Bonino è che Siria e Russia, sodali storici della famiglia Assad e del suo dominio, confidino che il loro pupillo riesca a contenere la ribellione con la sua macchina repressiva e che si limitino a chiedere il non intervento occidentale mentre comunque riforniscono ancora l’esercito del regime.
Il mondo occidentale nel suo complesso, a cominciare dalla presidenza Obama, per quanto inorridito dal massacro che si sta consumando, inizia a temere proprio sull’onda degli effetti della ribellione in Libia, che, una volta deposto Assad, la Siria diventi ingovernabile e soprattutto preda degli insediamenti terroristici che già sono attivi sul campo con uomini e mezzi. L’ultima dittatura nazionalista araba rappresenta il sottile diaframma che separa l’Occidente dal caos integralista.
Caduta quella non c’è più nessuna barriera esterna a proteggerci. Paradossalmente la stessa cosa valeva per Gheddafi; dopo la morte dell’ambasciatore Stevens, anche alla Casa Bianca se ne sono convinti, tanto che Obama ora non sa più letteralmente cosa poter fare.
L’unico Stato occidentale che ha mostrato da subito cognizione della portata del sovvertimento comportato dalla primavera araba è stato Israele. Il quale si è chiuso in un mutismo di piombo. Quando è esploso il conflitto in Siria però Israele ha lasciato trapelare le sue opinioni a riguardo ed è anche intervenuta con dei blitz contro degli obiettivi militari. Fra Siria ed Israele non c’è mai stata una soluzione pacifica, ma c’era un’intesa sotterranea reciproca a salvaguardare lo status quo. Nel momento nel quale cadesse Assad, Israele non ha più nessun contatto affidabile nella Regione. Tanto che Israele potrebbe divenire l’incognita politica militare appena Assad fosse deposto, o forse prima ancora della sua deposizione, nel caso il governo di Gerusalemme si convincesse che determinate armi sul campo possano alterare gli equilibri. In questo contesto temiamo che la politica possa solo decidere se schierarsi e da quale parte e prepararsi a combattere.
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