
Dopo un incontro a Palazzo Chigi, i partiti della «strana coalizione» (come fu definita da Mario Monti in un momento in cui poteva dare prova di maggiore sicurezza e senso dell'umorismo) hanno fatto alcune cose serie e utili. Si sono accordati per una mozione unitaria in sostegno del governo e hanno permesso che la Camera approvasse con il voto di fiducia una parte importante della legge sulla corruzione.
Non è poco. I maggiori partiti sembrano avere compreso che non potevano assistere, con una sorta di compiaciuta indifferenza, al declino dell'autorità del presidente del Consiglio. Fra gli indici che misurano la salute di un Paese non vi è soltanto il divario fra il rendimento delle obbligazioni italiane e quello dei Bund tedeschi. Vi è anche quel deficit di solidarietà, unità nazionale e testarda volontà di superare la crisi che è stato il peggiore segnale dell'Italia all'Europa in queste ultime settimane. Se vorrà dare un'occhiata alla più recente stampa internazionale, il lettore scoprirà che il giudizio sulla crescente impopolarità del presidente del Consiglio è fondato sul clima politico del Paese e sulla strisciante campagna elettorale che sembra essere la maggiore preoccupazione dei partiti. Se le forze politiche della coalizione ne sono consapevoli, faranno bene a smetterla di alimentare lo scetticismo sul governo Monti e a tenere conto di due realtà.
Dovranno chiedersi anzitutto quale effetto la fine anticipata della legislatura avrebbe in Europa e nel mondo. Tutti (non soltanto i mercati) penserebbero a una riedizione italiana della situazione greca e giungerebbero alla conclusione che l'Italia sta rimettendo in discussione le misure decise per il risanamento dei conti pubblici. I partiti sono pronti a ereditare una situazione verosimilmente molto peggiore di quella che affligge oggi il Paese?
Dovranno ricordare, poi, che il vincitore delle elezioni dovrà affrontare gli stessi dilemmi che sono stati il quotidiano menu di Monti. È possibile diminuire le tasse e aumentare la spesa sociale senza attendere che i tagli alla spesa pubblica comincino a produrre i loro effetti sul bilancio statale? È possibile colpire più duramente i grandi patrimoni senza favorire la loro uscita dal Paese (il fenomeno è già iniziato) e privare l'Italia degli investimenti di cui ha bisogno? È possibile creare con la Francia e altri Paesi un «fronte della crescita» senza tenere conto delle riserve, non sempre irragionevoli, della Germania?
Monti ha commesso qualche errore e ha fatto qualche mossa sbagliata, ma ha affrontato con coraggio problemi difficili e non poteva certo correggere in sette mesi tutte le cattive scelte politiche ed economiche dei decenni precedenti. Nessuno, a Palazzo Chigi, potrà quindi evitare le questioni che Monti lascerebbe insolute. Se ne saranno consapevoli, i partiti dovranno capire che hanno un obbligo e un interesse: sostenere il governo Monti patriotticamente (parola invecchiata, ma in altri Paesi ancora usata e sentita), lasciargli fare sino alla fine della legislatura ciò che essi, probabilmente, non sarebbero in grado di fare.
P.s. All'inizio del suo governo, Mario Monti ha dato prova di un senso dell'umorismo poco abituale nella politica italiana. Sdrammatizzava le maggiori difficoltà. Dimostrava che certi ostacoli si possono smontare con un sorriso. Infondeva ottimismo. Possiamo suggerirgli di tornare a farne uso?
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