
C'è un luogo più degli altri - il carcere - dove lavorare è vivere. Ieri la Camera è stata a un passo dall'approvare una legge che, seppure altamente insufficiente, per qualche detenuto (sempre troppo pochi) sarebbe stata una mezza benedizione. Un provvedimento che modificando e rifinanziando la vigente legge Smuraglia, favorisce maggiormente l'insediamento lavorativo dei carcerati. Si è fermata invece per mancanza di copertura finanziaria, perché non è chiaro dove attingere quei 6 milioni e mezzo di euro da investire - per una volta a ragione - sulla sicurezza. La commissione Bilancio di Montecitorio ha dato parere negativo alla legge bipartisan (primo firmatario Renato Farina e condivisa da tutti i partiti e perfino da due deputati leghisti), e a questo punto il testo dovrà tornare in commissione Giustizia. «Contiamo di trovare una soluzione entro la fine di marzo», rassicura la relatrice del provvedimento Messia Mosca, deputata Pd.
Stipati in 67 mila in uno spazio pensato al massimo per recludere 43 mila persone, per i detenuti il lavoro assume un valore difficilmente comprensibile per chi non ha mai provato la segregazione. Oggi quei 12 mila reclusi (il 17%) che hanno la fortuna dì poter uscire qualche ora dalla propria sovraffollata cella e svolgere - a rotazione - una mansione per poche decine di euro al mese (quasi mai sufficienti nemmeno per pagare la somma dovuta per il mantenimento in carcere), lavorano per l'amministrazione penitenziaria come addetti alle pulizie, alla cucina, alla lavanderia o alla biblioteca. Non certo lavori formativi per progettare un futuro. Questo tipo di mansioni vengono pagate attingendo al fondo delle «mercedi», ormai ridotto al lumicino per i continui tagli.
La legge che ieri ha subito uno stop alla Camera (in prima lettura, poi eventualmente passerà al Senato) si occupa invece di abbozzare una formazione per il lavoratore detenuto e di seguirlo almeno per un anno dopo la scarcerazione, il periodo più delicato per il "reinserimento" sociale. La norma dispone infatti l'aumento dei benefici fiscali - da 500 a 700 euro l'anno per detenuto - per le aziende e le cooperative sociali che assumono carcerati, e allunga il periodo di copertura degli sgravi fino a un anno oltre la detenzione. Attualmente sono 866 detenuti ché lavorano alle dipendenze di aziende esterne grazie agli sgravi della legge Smuraglia, il cui fondo di 4 milioni di euro non viene comunque rifinanziato da quasi un anno. «Sono i telefonisti del call-center di Rebibbia piuttosto che gli addetti all'impianto di riciclaggio rifiuti di Secondigliano», racconta la deputata Radicale Rita Bernardini. Relatrice del provvedimento in commissione Giustizia, secondo Bernardini «6,5 milioni servono a poco e niente, e invece va estesa molto di più la platea di detenuti. Sappiamo infatti che la recidiva si abbatte solo con il lavoro che offre una professionalità».
Ma c'è di più: «Il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure dì sicurezza - ha ricordato ieri Donato Capece, segretario del Sappe, che si è detto "amareggiato" per lo stop di Montecitorio - ed è elemento cardine del trattamento penitenziario e strumento privilegiato diretto a rieducare il detenuto e a reinserirlo nella società».
© 2012 Il Manifesto. Tutti i diritti riservati