
21/10/10
Europa
In Germania Angela Merkel scatena la battaglia culturale contro l'ubriacatura del multiculturalismo e del meticciato («le radici tedesche sono cristiano-giudaiche», fa sapere agli immigrati e, aggiungiamo, "illuministiche", cioè razionaliste e laiche: «Con l'illuminismo, l'uomo esce dallo stato di minorità», scrisse Kant).
In Italia il governo combatte la battaglia culturale della censura e dello spionaggio. «Odiosa», è per il nuovo ministro allo sviluppo Romani la trasmissione Report della Gabanelli su Antigua. Ma questa non è censura, replica il Giornale. Ed è vero. Altri sono addetti a censurare, o ci si provano in base agli ordini ricevuti. Vedi caso Annozero, se mandarlo o no in onda, se fare o no i contratti a giornalisti come Travaglio, da pochi giorni vice direttore del Fatto Quotidiano, indigesti al capo e spiati dall'appuntato infedele della Finanza. O vedi trasmissione Fazio-Saviano, vera novità dell'anno.
Il governo sabotata con combatte la scusa dei compensi agli la battaglia ospiti: «Un politica anche pugno di premi Nobel o, con strumenti alle brutte, poco leciti premi Oscar, più qualche rockettaro come Bono, i quali pretendono di essere pagati come e addirittura più di veline, tronisti, ospiti della casa del Grande Fratello o artisti del circo di Lele Mora», è il sarcasmo di Maltese sulla Repubblica. Un modo viscido di dire no alla trasmissione, che porterebbe un fiume di pubblicità alla Rai ma affronterebbe temi come mafie, evasioni, speculazioni sui suoli, corruzione. E code di paglia. C'è poi chi, come il finiano Urso, mette alla censura il sovraccarico dei dossier, denunciando il doppiopesismo della destra nella questione Antigua-Montecarlo: «Se è necessario richiedere la massima trasparenza a Fini, non può non esserlo per un episodio che richiama direttamente un altro vertice dello Stato», dice al Riformista.
Che a sua volta intitola a tutta pagina "Stampa e regime" (come la rassegna di Radio Radicale), e ricorda i mesi «in cui le tifoserie mediatiche del Cavaliere hanno sintetizzato i problemi del paese intorno a scarsi 60 metri quadri e a una cucina Scavolini»). Ci ricorda sull'Unità lo storico Aldo Giannuli che «lo sputtanamento del rivale è un'antica tradizione italica»: dal Casellario politico centrale, dove Giolitti faceva schedare gli oppositori, all'Ovra del duce che spiava non solo gli avversari ma i suoi stessi camerati, la famiglia reale, e perfino i parenti di Claretta Petacci. Per non parlare della «fase industriale dello spionaggio», nei primi decenni della Dc, con Fanfani, Tambroni e «i 300 mila dossier del generale De Lorenzo, fra cui 4000 intestati a vescovi e preti». De Lorenzo fu liquidato dalla libera stampa, L'Espresso in testa. E oggi?
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