
E’ difficile raffigurare un centrodestra perdente dopo i risultati delle Regionali. Lo stesso calo del Pdl a favore della Lega e dell’astensionismo non intacca un’affermazione che mette al riparo Silvio Berlusconi ed il suo governo da vere insidie. Eppure il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, punta il dito contro il calo di consensi del partito del premier «non compensato dalla Lega». Ed analizzando i dati che riguardano il centrosinistra, nega segnali di sfiducia; anzi, sostiene che, soltanto il Carroccio avrebbe fatto meglio del Pd. È una lettura a dir poco singolare di quanto è successo nelle urne. Ma forse si può spiegare almeno in parte con l’ansia di prevenire un attacco interno già in atto.
È una doppia offensiva. La prima, diretta e brutale, arriva da un Antonio Di Pietro esaltato dal 7,2 per cento conquistato a livello nazionale dall’Idv; pronto a scaricare tutto il peso della pesante sconfitta del centrosinistra sul Pd; e deciso a raffigurare l’Idv come «il grimaldello del cambiamento» dell’opposizione, simmetrico alla Lega. L’altro fronte si va formando nelle file del partito di Bersani. Mette a confronto il 33 per cento ottenuto da Veltroni alle politiche del 2008 con il 27,4 dell’altro ieri. A farlo rilevare sarebbe stato lo stesso Veltroni.
Si profila dunque un bilancio tutt’altro che condiviso dei risultati e del futuro del Pd. Bersani afferma: «Non canto vittoria ma non mi sento sconfitto. Intorno, però, volano i coltelli. Mercedes Bresso, candidata alla presidenza del Piemonte, accusa «il fuoco amico» come causa della sconfitta. L’altra grande perdente, la radicale Emma Bonino, sussurra quello che tutti sapevano: e cioè che è stata scelta per il
Lazio solo perché nessuno ci voleva mettere la faccia. Poi c’è il sindaco di Napoli, Rosa Russo Jervolino, che se la prende con il terzo bocciato, Vincenzo De Luca, reo di averla ignorata per non perdere voti. Sono avanguardie di un’ondata di critiche che Bersani si prepara ad arginare, numeri alla mano; ma che le sei regioni andate al centrodestra, rispetto alle due iniziali, promettono di rendere dirompente. Lo scontro interno a sinistra era stato sospeso in attesa del voto. Adesso che l’asse Berlusconi-Bossi ha travolto il bastione del centrosinistra in Piemonte, e il Pdl gli ha sottratto Lazio e Campania, la presa d’atto della sconfitta fatica a emergere. L’«atto di umiltà» richiesto in modo perentorio da Di Pietro a Bersani fa il paio con la bocciatura dell’analisi del segretario del Pd da parte del suo alleato.
Il leader dell’Idv ammette la tesi di un Berlusconi tradito dal suo elettorato e «salvato» da Umberto Bossi, cara al Pd. Vede un conflitto in incubazione fra Pdl e Lega. Ma quando passa al centrosinistra, difende la lista del comico estremista Beppe Grillo: non ha colpa per la sconfitta della Bresso, dice. E soprattutto, intima a Bersani di archiviare i rapporti con l’Udc di Pier Ferdinando Casini, considerato un interlocutore strategico del Pd. Ma le schermaglie tattiche non possono nascondere la sensazione di un’opposizione che deve ripensarsi da cima a fondo. Con un punto di partenza ineludibile: un’ammissione del disastro tanto più pesante perché non previsto.
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