
Lo scontro in atto nel Pdl è qualcosa di inaudito. Anche in un partito, in una casa e attorno a un uomo come Berlusconi - che in tanti anni di colpi a sorpresa ha messo su qualsiasi genere di spettacolo, dalla commedia al burlesque -, ciò che è accaduto ieri non ha precedenti.
Sarebbe stata incredibile fino a qualche mese fa la scena del Cavaliere a Palazzo Grazioli, circondato dai colonnelli e dal segretario del Pdl che lo accusa di voler candidare «un gelataio o un ex-presidente di Confindustria». E quando Alfano s’è rifiutato di ridursi a fare il «barzellettiere», non poteva usare allusione più velenosa, di fronte all’uomo che con chiunque si trovi, non sa finire una conversazione, senza, appunto, raccontare una barzelletta.
Adesso c’è chi dice che l’autocritica diramata in serata da Berlusconi e il suo pubblico atto di sottomissione al partito debbano essere interpretati come il preannuncio, l’annuncio, o il riannuncio della sua uscita di scena definitiva. Ma non è così. Da un anno ormai, da quando ha lasciato Palazzo Chigi, l’ex-premier è fermo a un bivio drammatico. Sa che la sua stagione politica è finita, ma non si rassegna all’idea che dopo il berlusconismo non possa esserci altro che il ritorno alle liturgie tradizionali, ai partiti strutturati, alla regola del compromesso e dei negoziati. In una parola, alla politica e a tutto ciò che lui ha sempre odiato della vecchia politica.
Berlusconi queste cose le ha dette e ripetute tante volte, l’ultima due sabati fa a Villa Gernetto, quando decise di rientrare in campo, all’indomani del ritiro comunicato platealmente in tv, a causa della sentenza di condanna nel processo di Milano. Ma anche prima, nel corso del suo anno più tormentato, il Cavaliere non perdeva occasione di manifestare il suo dissenso per la piega presa dal centrodestra. Un giorno se ne usciva dicendo ad Alfano, il delfino designato suo successore, che gli «mancava un quid». Un altro giorno sosteneva che Gasparri e La Russa in tv facevano solo perdere voti. E anche quando, vuoi o non vuoi, a denti stretti, dava il suo consenso alle scelte del partito, se lo rimangiava un’ora dopo, incontrando la Santanché, o parlando al telefono con un’altra delle amazzoni del Pdl.
Si può capire come, in una situazione del genere, sia diventato impossibile per Alfano esercitare il suo ruolo, tra obblighi di governo, proteste degli ex-An, minacce di scissioni, storie di corruzione, crisi regionali, e soprattutto con il martellante mugugno di Berlusconi, accompagnato dall’eco delle donne del partito: le sole, sembra, a cui ancora presti ascolto. Così, anche se non era da scommetterci, Alfano è andato a un chiarimento. Lo ha fatto, prima, in accordo, o in presunto accordo, con il suo leader, quando ha annunciato le primarie all’indomani della sconfitta in Sicilia (dove Berlusconi, sia detto per inciso, si era rifiutato di prendere parte alla campagna elettorale). E lo ha ripetuto ieri, nei termini che hanno fatto drizzare le orecchie a tutti, dentro e fuori il Pdl.
A questo punto, inaspettatamente, il quadro s’è capovolto. Il Cavaliere, che voleva affossare le primarie, ha dovuto innestare la retromarcia. I colonnelli, dacché erano colonnelli di Berlusconi, son diventati colonnelli del segretario. E il Pdl, che aveva sempre avuto un padre-padrone, all’improvviso non lo ha avuto più. Ora molti (ex) berlusconiani dicono che Berlusconi in futuro conterà di meno. E forse non conterà per niente dopo le consultazioni che serviranno a far designare dagli elettori, in modo democratico, e non più dinastico, il leader del partito.
Il Pdl parte svantaggiato nella corsa per le prossime elezioni. Alfano, se sarà confermato, non avrà molte carte in mano per ribaltare un destino, in gran parte, segnato. Ma grazie alla svolta di ieri, e alla decisione di giocarsi il destino nelle primarie, non affidandolo più al potere assoluto del Cavaliere, il Pdl sopravviverà. E com’è successo ad altri partiti, anche se dovesse essere battuto, potrà superare la sconfitta e continuare a fare politica.
Il piano è questo. Gli effetti si vedranno. Non era immaginabile, però, che per realizzarlo, dopo quasi un ventennio, Berlusconi potesse essere messo in minoranza dai suoi. Si rassegnerà? Darà ancora battaglia? Difficile dirlo. La destra italiana, come l’abbiamo conosciuta, non poteva più restare un dominio privato del Cavaliere. Senza di lui, o con lui in posizione defilata, diventerà un’altra cosa. Nessuno ancora sa che cosa.
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