
03/09/10
Il Riformista
C'è un'aria nuova al Quirinale. Il presidente appare in gran forma dopo la breve vacanza.lo abbiamo visto a Venezia sbarcato da un'imbarcazione con cappello bianco e senza la cravatta affrontare i giornalisti con battute maliziose. Nel giro di due giorni ne ha piazzate due micidiali. A chi gli chiedeva del “processo breve” ha risposto: «Avete notizia della legge sulle intercettazioni telefoniche?». Quando ieri gli hanno chiesto se servisse al Paese un ministro per lo Sviluppo economico ha detto: «Serve un ministro? Passo la voce».
Dicono che Silvio Berlusconi non abbia sorriso quando ha letto le frasi del Capo dello Stato. Chi conosce Giorgio Napolitano da molto tempo non è rimasto sorpreso dalle sue parole sapendo che nella sua lunga storia politica molti amici e avversari hanno sempre temuto la sua ironia pungente che spesso azzittiva l'interlocutore. Finora, tuttavia, il presidente aveva scelto un altro profilo. Interventi istituzionali e parole misuratissime hanno accompagnato questi primi cinque anni di mandato. Un atteggiamento consapevole anche dei rischi.
Nel 2007, in un discorso a Treviso, si disse convinto che le parole del Capo dello Stato possono talvolta trasformarsi in «messaggi in bottiglia, senza la certezza che vengano raccolti». Questo non gli ha impedito di svolgere discorsi impegnativi che talvolta hanno scontentato alcuni settori politici. Sempre nel 2007, a giugno, all'Aquila dichiarò con franchezza di non essere intimidito dalle critiche: «Vi confesso di non essere troppo turbato per un po' di punzecchiature, per un po' di pareri diversi che possono essere espressi sul mio modo di operare. Ho detto in una recente occasione di sapere benissimo che sono le incognite del mestiere». Negli ultimi tempi, però, il presidente ha scelto un modo più diretto di comunicare. Gli interventi si sono susseguiti senza frasi d'occasione. Come se sentisse la necessità di comunicare qualcosa di profondo al Paese. La sequenza ci fa mettere assieme parole diverse ma tutte pronunciate con grande efficacia comunicativa nel volgere di poche settimane. Ricordiamo l'intervista all'Unità con cui invitò a interrompere la campagna denigratoria contro il presidente della Camera.
La replica severa al parlamentare del Pdl che l'aveva criticato («chieda l'impechmeant», gli disse), la risposta alla lettera dei tre operai di Melfi in cui chiese alla Fiat di rispettare la sentenza ma invitò tutti i protagonisti dello scontro a riprendere la via del dialogo, la riaffermazione pubblica di una solida amicizia con Francesco Cossiga dopo che Vittorio Feltri l'aveva messa in dubbio in occasione della morte del "picconatore". Infine le ironiche battute veneziane sul governo che abbiamo già citato. Che cosa spinge il capo dello Stato a un linguaggio così inusuale e a interventi così frequenti? Sicuramente non è mutato l'asse culturale e politico della presidenza. Se si scorrono i discorsi di Napolitano si avverte in ognuno di essi la preoccupazione per un continuo degradarsi della contesa politica che può danneggiare il Paese. Ha chiesto alle forze politiche di dialogare, ma ha collocato il dialogo nel quadro di una esplicita volontà riformatrice. Nessun invito all'appeasement fra i diversi schieramenti ma soprattutto l'invito a lavorare per il bene del Paese. Ha detto quest'anno all'Accademia dei Lincei: «Spero ci si risparmi il banale fraintendimento del vedere sempre in agguato l'intento di un appello all'abbraccio impossibile, alla cessazione del conflitto, fisiologico in ogni democrazia, tra istanze politiche e sociali divergenti. È tempo che ci si liberi da simili spettri e da faziosità meschine, per guardare all'orizzonte più largo del futuro della Nazione italiana, per elevare al livello di fondamentali valori e interessi comuni il fare politica e l'operare delle istituzioni». Se teniamo a mente queste parole e le confrontiamo con lo spettacolo degradante offerto dallo svolgersi del dibattito politico, soprattutto in questa estate, forse potremo comprendere meglio le ansie del presidente e la sua volontà di dare una scossa a una situazione che nella vita parlamentare e in quella sociale offre solo immagini di rottura. Napolitano non ha mai pensato di essere il notaio della Repubblica.
I suoi discorsi sull'Unità d'Italia sono assolutamente lontani dalla retorica e ricchi di contenuti moderni. I suoi appelli all'unità nazionale contengono la sfida del federalismo. L'invito a mettere al centro i grandi temi dell'economia e del lavoro guardano ai rischi che l'Italia corre (lo ha ribadito anche ieri a Venezia). Tuttavia lo sbandamento politico-istituzionale ha reso necessaria una più severa presa di posizione del Capo dello Stato. Da qui forse la scelta di un nuovo stile, di parole più dirette, di un dialogo più serrato con la pubblica opinione. Attorno al Quirinale si è addensato un capi- tale di fiducia e di popolarità che va messo a frutto. I richiami del Colle hanno l'obiettivo di far rientrare lo scontro nell'alveo istituzionale. Napolitano sta in queste settimane parlando a un Paese smarrito e questa volta non vuole che le sue parole siano «messaggi in bottiglia, senza la certezza che vengano raccolti».
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