
L’inchiesta del QN sulla malagestione dei soldi destinati ai gruppi parlamentari del Senato non ha scatenato grandi reazioni politiche. Una minaccia di querela del Pd, una smentita dell’Udc, un’interrogazione parlamentare dell’Idv. Due su tre, in polemica con noi. Era prevedibile.
Il fenomeno è infatti trasversale, come trasversali sono quella quarantina di operazioni sospette meritoriamente segnalate all’antiriciclaggio di Bankitalia dall’agenzia della Bnl interna a Palazzo Madama. Se è vero che l’occasione fa l’uomo ladro, il punto è che 72 milioni l’anno tra Camera e Senato sono troppi, e troppo opaca è la gestione che ne fanno i gruppi parlamentari. Lo denuncia il Greco, l’organismo anticorruzione del Consiglio d’Europa: «I gruppi parlamentari dei partiti beneficiano di un finanziamento pubblico sostanzialmente sfuggente ai meccanismi di controllo in vigore». Lo sostiene Maurizio Turco, deputato radicale giocoforza inserito nel gruppo del Pd: «Una quantità esagerata di quattrini viene spesa dai gruppi senza alcuna attinenza con la propria reale attività». Quanto ai controlli, «sarebbe logico — sospira Turco — che il bilancio del gruppo fosse approvato dall’assemblea dei senatori, e invece nel Pd tutto viene deciso da una ristretta oligarchia». Non solo nel Pd, in verità. Così fan tutti.
I 22 senatori leghisti, ad esempio, con i soldi destinati all’attività del gruppo vanno a cena una volta a settimana. Cene di gruppo, in effetti. E sempre con quei soldi pagavano uno stipendio aggiuntivo (2mila euro al mese) a Roberto Calderoli. Parlamentari del Pd e del Pdl confermano inoltre un sospetto: una quota del denaro destinato ai gruppi è regolarmente utilizzata per finanziare attività di partito. E andrebbe anche bene, se non fosse che, oltre ad incassare una cinquantina di milioni l’anno per i loro giornali, dal 1993 a oggi i partiti si sono già alzati del 600% il contributo pubblico che percepiscono sotto forma di «rimborso elettorale». Non solo. I due terzi del finanziamento ai gruppi parlamentari è destinato a «spese per il personale» che nessuno certifica né controlla. E che per giunta sono uguali per tutti i gruppi, grandi e piccoli. Se a questo si aggiunge che a palazzo Madama i gruppi percepiscono 3500 euro per senatore fino a un totale di 10, e 1400 euro dall’undicesimo in poi, si capisce perché, come dice il questore del Senato Angelo Cicolani (Pdl), «alle volte si scatenino vere e proprie campagne acquisti per costituire nuovi gruppi». Per mettersi in tasca i quattrini? «Farei fatica a negare che le cose stiano così», replica Gabriele Albonetti, che oltre ad essere un deputato del Pd è un questore della Camera.
Degno di nota è il fatto che pur militando in partiti normalmente avversari e ricoprendo un incarico istituzionale che li dovrebbe invogliare al conformismo pro-Casta, Cicolani e Albonetti concordino nel dire che così non si può andare avanti. «Sarebbe opportuna una riduzione dell’entità del finanziamento ai gruppi e una modifica del riporto in modo da non incoraggiare il frazionamento privilegiando i gruppi più piccoli», dice Cicolani. «Lo scorso anno, la Camera ha tagliato i trasferimenti ai gruppi del 10%, ma non basta: con la spending review dovremmo imporre un ulteriore taglio e modificando il regolamento dovremmo riuscire ad darci una gestione trasparente di quei soldi», gli fa eco Albonetti. Tutti d’accordo, dunque. Ma il fatto che entrambi usino il condizionale lascia intendere che nulla è scontato.
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