
Qualcuno la chiama la “rivoluzione incompiuta”. I più pessimisti parlano già della "rivoluzione fallita". A nove mesi dalla caduta di Hosni Mubarak, l'Egitto e precipitato nuovamente nella violenza.
L'eterogenea opposizione anti-Mubarak ora accusa i militari di non voler cedere il potere. Ma sono le riforme, in larga parte disattese, ad aver scatenato la rabbia. Incluse quelle per lo sviluppo. L'Egitto era una delle economie più floride della regione (il Pil è cresciuto dal 2006 al 2009 a una media del 7%). Ma anche negli anni di prosperità si è trattato di un boom senza benessere. Oggi, ancor più di ieri, la disoccupazione dilaga, l'inflazione resta sopra il 10%, mentre la crescita si è contratta all'1,2 per cento. Le rivendicazioni salariali sono state accolte solo in parte. Il turismo ha accusato un duro colpo, gli investimenti stranieri sono scesi. Le riserve in valuta estera sono calate. Complice il crescente deficit del budget, il fardello dei sussidi rischia di divenire insostenibile. Gli egiziani chiedono trasparenza. Ma pensare che l'esercito potesse varare riforme immediate era un'illusione. Perché il suo enorme apparato industriale (rappresenta circa il 15% del Pil) è cresciuto all'ombra, e con il benestare, del passato regime.
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