
26/08/10
Liberal
Silvio Berlusconi evita il ricorso alle elezioni anticipate. Umberto Bossi sbarra a Pier Ferdinando Casini l'ingresso nella compagine di governo. In breve (e brutale) sintesi questo l'esito del vertice di ieri Villa Campari, che sulla carte dovrebbe rimettere il carreggiata la colazione. «Ma che a ben guardare», nota lo storico Giovanni Sabbatucci, «sembra soltanto un tentativo di riportare le cose a prima del caos: dentro Berlusconi e Bossi, fuori Casini, il tutto però con il buco lasciato da Fini».
Il politologo Paolo Pombeni non fa fatica a vedere «un pareggio scontato» alla fine di una trattativa tra due debolezze: «A parte che non so se Casini abbia voglia di entrare in questo centrodestra - tanto che Berlusconi ha approfittato del divieto di Bossi per evitarsi un no - credo che la scelta sulle elezioni sia un atto di realismo politico. Per certi aspetti interessante». Secondo l'ordinario di storia dei sistemi politici dell'università di Bologna, «le elezioni non sono nell'interesse del premier, che seppure le vince, rischia di essere ancora più succubo della Lega. Non lo sarebbero per il Senatùr, che avrebbe portato a casa un po' di voti, ma soltanto per ritrovarsi in uno scenario diverso e meno conveniente di quello attuale».
Di conseguenza, ora c'è da capire se l'«Andiamo avanti così», pronunciato ieri da Umberto Bossi, sia professione di ottimismo o debba suonare come un grido di battaglia. E che fine fa la famosa agenda di cinque punti per vincolare i finiani e dare un senso alla legislatura.
Sabbattucci ci mette davvero poco a fare un parallelo con l'ultimo governo Prodi, «quello che tra il 2006 e il 2008 vivacchiava. Poi si è capito che a nessuno conveniva tenerlo in vita. Perché dopo l'incontro di ieri sarà anche scongiurato il pericolo di un voto in autunno, ma nulla potrebbe impedire un'accelerazione che porti alla fine dell'esecutivo». Aggiunge Pombeni: «Questo governo non cadrà finché converrà tenerlo in piedi.
Ieri Cesare Geronzi ha chiesto a Berlusconi di garantire la stabilità. Che un modo per ricordargli che la finanza e l'economia del Paese preferiscono un esecutivo zoppicante alla scellerata ipotesi delle elezioni. Dietro la formula usata da Maroni al Meeting - "Vedo un complotto di poteri forti" - c'è l'ammissione che una parte di classe dirigente ha perso la fiducia riposta nel centrodestra». Così lo spettro diventa l'immobilità, la stagnazione, e gioco forza si deve parlare di quelle riforme che sono una delle cause dello stallo nel quale vive l'Italia, ma forse anche l'unica leva per rimettere in piedi la maggioranza.
Al riguardo Pombeni dice di «aver ascoltato, e apprezzato, le proposte fatte da Gaetano Quagliarello durante un faccia a faccia con Francesco Rutelli a Radio Radicale. E la linea del vicecapogruppo al Senato del Pdl è diventata molto interessante, quando ha lanciato un appello per non sprecare la fine della legislatura e trovare un accordo su una serie di misure condivise». Per il politologo bolognese, «lavorare per un fisco ragionevole, un'università competitiva e una giustizia funzionante, oltre che portare benefici al Paese, finirebbe per creare un confronto, una parvenza di dialogo nazionale, che finora Berlusconi non è mai riuscito a realizzare. E non potrebbe essere diversamente visto che parliamo non di un vero riformatore, ma di un imbattibile galvanizzatore di piazze».Questo percorso avrebbe ripercussioni sconvolgenti sugli italiani. «Come fa capire Quagliariello neanche tanto tra le righe, si potrebbe innescare quella transizione necessaria alla formulazione di una nuova politica italiana. Avrebbe il là la costituzione di una nuova classe dirigente. In sintesi, e in un momento di declino del berlusconismo, finirebbero ai margini quei pezzi del centrodestra che hanno fatto del muro contro muro il loro biglietto da visita».
Uno scenario sulla cui strada Sabbatucci vede soprattutto un ostacolo: «Anche io penso che il quoziente familiare o le liberalizzazioni potrebbero avvicinare i poli. Ma quando si parlerà di processo breve o di federalismo - temi che toccano anche sensibilità personali - la maggioranza si spaccherà. E credo che questo potrebbe ripetersi anche in futuro, se non si capirà che il bipolarismo non annulla i conflitti fra i partiti, ma li trasferisce nelle coalizioni manca un programma condiviso».
Molti osservatori politici si sono affannati nel dire che il ricorso alla urne da parte del Pdl avrebbe tolto a Gianfranco Fini il tempo necessario per organizzare (magari con il centro) un'alternativa all'attuale destra e al Pd quello per risolvere i suoi problemi di leadership. Paolo Pombeni consiglia a questi soggetti di «superare l'idea che il semplice antiberlusconismo basti per creare una coalizione alternativa a questa maggioranza. E se ci sono le condizioni per unirsi, l'Udc non deve presentarsi soltanto come baluardo del Sud, Fini deve chiarire la sua piattaforma e Rutelli capire davvero quanta forza centrista c'è nel suo movimento».
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