
Il barometro del clima tra il governo (battuto ieri al Senato, con il voto determinante del Pdl, su un emendamento) e i partiti punta ancora verso il basso. E difficilmente si ristabilirà prima di conoscere i risultati delle elezioni di domenica prossima, quelli europei di Francia e Grecia e quelli meno decisivi, ma ugualmente importanti in un paese come l’Italia abituato a entrare in fibrillazione per ogni mini-test, delle amministrative. Fredda, e caratterizzata da un botta e risposta tra il presidente del consiglio e i partiti sull’Imu, la ripresa dopo il ponte del Primo maggio. Dopo le critiche ricevute in diretta tv dal premier lunedì sera, il segretario del Pdl Alfano ha ripetuto, sia le riserve sull’escalation di tasse introdotte dal governo, sia la proposta, che sarà tradotta in un testo di legge, per consentire la compensazione tra crediti e imposte agli imprenditori in attesa da troppo tempo di pagamenti da parte dello Stato.
Ma anche da parte del Pd arrivano segnali al governo: Bersani ha ricordato di aver avvertito per tempo che l’impatto sociale dell’Imu sarebbe stato «micidiale», obiettando che sarebbe stato meglio ridurre la tassa sulle case e introdurre una patrimoniale sui grandi patrimoni. Rosi Bindi, richiesta di un parere sui tecnici che ricorrono ai tecnici e sulla nomina di Bondi, Amato e Giavazzi, se l’è cavata laconicamente, lamentando che i partiti della maggioranza non fossero stati avvertiti.
Si dirà che negli ultimi giorni di campagna elettorale non c’era da aspettarsi altro, e lo scatenamento dei leader dell’opposizione impone anche a quelli di maggioranza di alzare i toni. Ieri Monti stesso, che ha ribadito come la propaganda antiImu sia in realtà un incitamento all’evasione, e il ministro dell’Interno Cancellieri, si sono fatti interpreti dei timori in seno all’esecutivo per la piega presa dalla campagna elettorale. Ormai non sono solo i sindaci leghisti, dal momento che a loro, sia pure con atteggiamenti differenti dall’invito alla rivolta fiscale, si sono aggiunti i primi cittadini di Milano e di Bologna. Inoltre, difficilmente gli umori dei partiti cambieranno subito dopo il 6 maggio: l’anno scorso, per metabolizzare i risultati delle amministrative, ci vollero parecchi mesi e la destabilizzazione portata dal mix di turbolenze politiche e crisi economica sfociò a novembre nella crisi del governo Berlusconi. Oggi nessuno ai vertici dei partiti pensa realmente a far cadere Monti: ma la crescente instabilità di fine legislatura, in mancanza di alternative che non ci sono, rischia di perpetuare lo stato di paralisi in cui l’esecutivo dei tecnici si dibatte da mesi.
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