
ISTANBUL - «Mi scuso per questo con i cittadini». Il governo turco fa autocritica perle brutalità commesse dalla polizia contro i manifestanti inermi, nella rivolta all’esecutivo islamico che da otto giorni sconvolge il Paese. Non è dato sapere se le parole pronunciate dal vice premier Bulent Arinc, siano condivise dal numero uno Recep Tayyip Erdogan, bersaglio principale della protesta, impegnato in una visita all’estero. Ma il passo sembra contribuire a calmare la tensione, e questa mattina Arinc incontrerà i manifestanti che a Istanbul occupano Piazza Taksim, il luogo della protesta. «Il governo ha imparato la lezione-ha assicurato il vicepremier - non abbiamo il diritto e non possiamo permetterci di ignorare la gente. Le democrazie non possono esistere senza l’opposizione». E poi, un’altra importante ammissione, cioè che l’esecutivo non vuole imporre un pensiero unico ispirato slam: «Il nostro governo rispetta ed è sensibile a tutti gli stili di vita». Sono parole che la parte laica del Paese aspettava, e adesso occorrerà vedere i termini concreti di una soluzione.
Ieri e oggi il sindacato dei lavoratori ha intanto proclamato un lungo sciopero. E le proteste, che rallentano, ma possono essere pronte a riprendere, hanno registrato la terza vittima: un ragazzo di 22 anni raggiunto da un colpo d’arma da fuoco alla testa ad Antakya, nel sud. Moniti e condanne piovono su Ankara da tutto il mondo. Il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, ha espresso «forte apprensione» per la situazione, e ritiene che «l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia» non possa essere «una risposta accettabile alle proteste».
Le dimostrazioni attecchiscono comunque oltre la grandi città turche. Manifestazioni contro l’eccessiva ingerenza del governo nella vita privata dei cittadini, con leggi restrittive su alcol, fumo e comportamenti personali, hanno raggiunto la parte nord di Cipro, quella turca. Dove centinaia di studenti sono scesi per strada nella capitale Lefkosa, ma anche nelle città costiere di Famagosta, Kerinya e Morphou, intonando cori contro Erdogan. Ad Antalya, invece, paradiso turistico nella costa mediterranea della Turchia, il sindaco, appartenente al partito socialdemocratico, all’opposizione in Parlamento, ha negato l’acqua del comune per rifornire gli idranti della polizia impegnata da giorni nella repressione delle manifestazioni.
Alcuni osservatori hanno infine ben notato il silenzio tenuto finora dai militari, grandi protagonisti della vita pubblica turca dagli anni Sessanta in poi, sulla crisi. Ma i generali, considerati da sempre i difensori dell’indipendenza e della laicità dello Stato, appaiono oggi privi dei poteri di un tempo. Il governo islamico li ha completamente neutralizzati. Con l’appoggio dell’Unione Europea, che ha posto come condizione per l’ingresso di Ankara un minor potere delle forze armate per i golpe del passato, l’esercito ha abdicato al suo ruolo di garante della laicità. Le corti speciali istituite da Erdogan hanno finito per dare il colpo di grazia. I militari sono finiti in carcere a centinaia, accusati di tentare nuovi colpi di Stato. E oggi un generale su 5 è in galera. I loro attuali leader appaiono scelti dal governo islamico. Acciaccati, demoralizzati, in perdita di prestigio e di privilegi, i generali non hanno più rialzato la testa.
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