
Il flop è arrivato, atteso, quasi scontato: solo 718mila spettatori hanno assistito martedì sera al primo degli appuntamenti con "Conferenze stampa", gli spazi di confronto tra i candidati in vista delle prossime elezioni regionali. Il deserto, solo il 2,47% di share, mentre sul satellite l'Inter di Mourinho paralizzava mezza Italia con la sua sfida al Chelsea di Ancelotti, su Rai Uno imperversava una fiction e su Canale 5 si rideva, numerosissimi, per le gag di Zelig.
La politica è uscita distrutta dal confronto, impari, in prima serata. E non poteva essere diversamente, dopo settimane di polemiche sui black out imposti ai talk show, di battaglie legali sulle liste, di sparizione della politica vera dai giornali e dalle televisioni.
Il primo esperimento di tribuna politica tentato dalla Rai per le Regionali, dopo un colpevole ritardo dovuto a pretesti burocratici, s'è rivelato un appuntamento con lo sbadiglio, grazie alla formula vetusta e impaludata, molto lontana da un'idea stimolante di rappresentazione del confronto politico. Tre giornalisti, il solito giro di domande, il candidato (ieri ha esordito Francesco Storace, poi Castelli, Pionati ...) stretto tra i tempi contingentati e la banalità degli argomenti proposti. Roba da gran Premio di Formula 1, ma qui, noia a parte, anche gli ascolti si sono fermati a livelli da monoscopio notturno.
Anche su Rai Uno, dopo la fiction Capri e l'appuntamento con il Tg1, è andata in onda una tavola rotonda di mezz'ora, sempre dedicata alle elezioni: risultato, 1 milione 50 mila telespettatori con il 7.11%. Migliore di quello di Rai Tre, ma pur sempre poco esaltante. Anche perché programmi come quella della Dandini, che si prepara stasera a ospitare Michele Santoro in "Parla con me", creano decisamente più interesse sul "teatrino" della politica e forse spostano davvero qualche voto, soprattutto se il tema politico è la presunta censura di regime: «Sicuramente lo stop ai talk show è stato un clamoroso autogol del centrodestra e della Rai spiega Luca Barbareschi, parlamentare del Pdl ed esperto di media - ma è anche vero che proporre la politica in tv con le tribune elettorali significa andare incontro al deserto di ascolti. Oggi le formule che creano interesse sono quelle legate al gossip, alle provocazioni, servirebbe un Grande fratello della politica per fare ascolti, o funzionano programmi come "Annozero" in cui qualcuno parla male di un altro ed elabora una tesi. La crisi della politica in tv è anche una crisi di credibilità, come quella dei giornali, che raccontano gossip più che notizie, alle quali la gente finisce per non credere più",spiega Barbareschi. Che sposta l'attenzione sul mondo delle tv commerciali: «Sembrerà paradossale ma gli spazi di confronto politico che funzionano meglio sono quelli di Sky. Ma resta un grosso vuoto di comunicazione, al quale non potranno rimediare nemmeno le piazze, inutili a mio avviso: roba superata, come dimostra il fatto che negli Stati Uniti manifestazioni politiche pubbliche con cortei non se ne fanno più da anni. Lì la politica muove altri canali, la rete, soprattutto. Noi siamo fermi alle tribune politiche...», conclude il conduttore di"Barbareschi sciok".
I radicali, se è vero che chiudere i talk show è stata una iniziativa del Cda Rai, proseguono intanto la battaglia per una corretta interpretazione del regolamento approvato dalla Vigilanza. Marco Beltrandi ieri ha rivolto una nuova interrogazione in commissione per conoscere il motivo che ha portato la Rai «ad una censura oggettiva della campagna elettorale». «Subito dopo l'approvazione del regolamento con il quale il Parlamento ha stabilito le regole per lo svolgimento della campagna elettorale - si legge in una nota - in numerosi talk show della Rai è stata data un'informazione distorta sul suo reale contenuto, senza alcuna possibilità di rettificare l'informazione infondata e fuorviante. Subito dopo, la dirigenza Rai ha deciso di autocensurare il palinsesto. Con la conseguenza che al danno subito si è aggiunta la beffa: alla sospensione della messa in onda di "Porta a Porta", "Ballarò" e "Annozero", scelta opinabilissima, non è seguita la messa in onda delle tribune politiche, come previsto dal regolamento. La Rai ha invece deciso di trasmettere programmi senzaalcun riferimento alla campagna elettorale. Questo è illegale».
Nel centrosinistra c'è qualcuno che lancia operazioni su cui, in passato, aveva rivolto pesanti critiche al centrodestra. Come lo sciopero del canone. «Riprendiamoci i soldi di un mese di black out», scriveva ieri l'Unita, che lancia una campagna in prima pagina. Secondo il direttore Concita De Gregorio «la Rai ha un contratto di servizio, deve dare informazione ai cittadini che per quel servizio, appunto, pagano. Se per un mese non fornisce informazione si defalchi quel mese dal canone: sono nove euro a testa. Moltiplicati per gli abbonati fanno più di 120 milioni di euro». Una proposta che piace al Pd, perfino al vicepresidente della Vigilanza, Giorgio Merlo (Pd). «Non riuscire a capire la devastante portata di una proposta del genere - replica Alessio Butti, membro del Pdl in Vigilanza - significa non conoscere che cosa è il servizio pubblico».
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