
Che cosa deve fare il Pd? Che cosa gli conviene fare? E ciò che gli conviene, coincide con ciò che conviene all’Italia? Sono domande alle quali è difficile rispondere: il giovane Partito democratico deve trovare in queste ore il senso della sua missione nazionale, o perdersi. Ne è dunque comprensibile il travaglio, e anche l’evidente stato di choc. Con la ridiscesa in campo di Renzi, le linee possibili sono diventate tre. La prima è quella di Bersani: andare alle elezioni dopo aver corteggiato Grillo. La seconda è quella dello sfidante alle primarie: andare alle elezioni senza aver corteggiato Grillo. Il segretario e il suo gruppo dirigente si muovono infatti come se fossero convinti che i voti del Pd e quelli del Movimento 5 Stelle siano interscambiabili. Gli appelli degli intellettuali di area ne sono la prova. L’idea è che, in realtà, la sinistra ha vinto le elezioni, solo che si è divisa a causa dell’eccessiva timidezza del Pd. Basta dunque riunificarla sotto le bandiere di un maggiore radicalismo. E se Grillo non ci sta a mettersi nel corso della Storia, il popolo capirà, e i voli in libera uscita torneranno alla casa del padre. Renzi la vede diversamente. Non solo non crede alla possibilità di un accordo con Grillo, e anzi bolla come «scilipotismo» il retropensiero di quei bersaniani che sperano di staccare qualche stellina dalle 5 Stelle (in realtà di senatori ne servirebbero almeno una quarantina). Ma Renzi crede anche che un accordo non sarebbe nell’interesse del suo partito, perché lo consegnerebbe a un movimento ambiguo, integralista, intriso di sentimenti anti-parlamentari e anti-europei, umiliando così la vocazione di forza di governo per cui il Pd fu fondato. Renzi pensa di poter battere Grillo sul suo stesso terreno, da solo e in campo aperto. Per questo spera che il dialogo fallisca e che si torni alle urne.
Queste due linee sono opposte: l’una tiene in sella Bersani, l’altra lo sostituisce a breve (anche se a Renzi non basterà giocare il secondo tempo della partita come se fosse il primo, perché la Storia non si ripete mai uguale a se stessa, e in natura il vuoto si riempie in fretta). Però entrambe le strategie si muovono, per così dire, all’interno di un sistema Grillo-centrico: nella convinzione cioè che sarà lui il competitor della sinistra nel futuro bipolarismo italiano. Entrambe dunque sottovalutano la forza della destra, che pure ha appena preso alle elezioni gli stessi voti della sinistra, pur uscendo da un disastro di governo; e trascurano le ragioni profonde del suo elettorato, non meno interessanti da comprendere di quelle degli elettori 5 Stelle. La terza linea possibile del Pd sarebbe perciò quella di aprire un dialogo con questa parte del Paese e del Parlamento, nella quale ci sono forze interessate più di Grillo a un progetto di salvezza nazionale. Complice il solipsismo giudiziario in cui appare ormai avviluppato il leader della destra, questa terza linea per ora è in sonno nel Pd. Ma le prossime settimane potrebbero risvegliarla; e, con essa, le poche residue speranze di un compromesso istituzionale capace di evitare la rovina comune.
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