
In uno dei passaggi più ardui della recente storia d'Italia, il sostegno dei tre partiti Pdl-Pd-Udc a Mario Monti va bene, anzi è indispensabile; ma non è in alcun modo sufficiente per autorizzare l'ottimismo sul prossimo futuro. Con poche parole si può sintetizzare così la situazione all'indomani del vertice di Palazzo Chigi e dopo l'intervento del premier alla Camera.
Il sostegno va bene, certo: in primo luogo perché qualsiasi alternativa sarebbe distruttiva. È quindi normale che le forze politiche si preparino a votare un documento comune sull'Europa alla vigilia del vertice europeo di fine giugno, così da trasmettere anche all'estero un'immagine di coesione. La politica europea dell'Italia è una sola e il presidente del Consiglio la interpreta con il pieno appoggio del Parlamento. Messaggio ovvio che in queste ore drammatiche è necessario reiterare.
Purtroppo l'esperienza insegna che queste prese di posizione alla vigilia di grandi eventi assomigliano, come si dice, all'omaggio che il vizio rende alla virtù. Di rado preludono a un cambiamento di attitudine politica. O magari, in questo caso, alla nascita di un'autentica maggioranza trasversale. Una maggioranza che non abbia paura a definirsi tale e a proiettarsi in avanti con un serio programma riformatore. Siamo lontani da un tale esito che forse sarebbe utile anche per guardare con maggiore fiducia alla prossima legislatura.
In altre parole, l'europeismo non sembra essere un cemento sufficiente per la nascita di una maggioranza adatta a tempi eccezionali. Non lo è stato in passato e a quanto pare non lo è oggi, mentre Monti si prepara al negoziato più difficile con le cancellerie dell'Unione. Stabilito questo punto non secondario, la domanda è: cosa accadrà nelle prossime settimane? Il presidente del Consiglio ripete che la priorità è la «crescita». O meglio, creare la convinzione sul piano internazionale che l'Italia si sta scrollando di dosso le sue bardature e ha imboccato la via delle riforme economiche. Anche di quelle politiche e amministrative, viste come tasselli essenziali del processo di modernizzazione.
Quanto prima, ci si augura, vedremo i progetti di Passera e si può essere sicuri che Monti impegnerà tutto se stesso nello sforzo di scuotere l'albero delle resistenze e delle corporazioni. È proprio quello che chiedono i mercati finanziari per frenare l'attacco speculativo a un paese troppo spesso inerte. E in fondo il recente scetticismo dei grandi giornali americani sull'esperimento in corso in Italia nasce proprio dagli scarsi risultati finora ottenuti in questo campo. Dunque l'obiettivo del premier è chiaro: sarà sufficiente a dargli lavoro per mesi, fino alla scadenza della legislatura in gennaio-febbraio 2013.
E i partiti? Sono sollecitati quasi ogni giorno da Napolitano e ora anche da Monti a farsi interpreti del rinnovamento del sistema. Ma il traguardo dell'autoriforma è a dir poco remoto, avvolto nella nebbia di una campagna elettorale strisciante che è già in corso. Sarebbe confortante se la percezione che l'Italia è sull'orlo dell'abisso spingesse le segreterie a una sorta di imprevedibile rivoluzione culturale. Partiti tradizionali che cessano di essere fattore di freno e di conservazione e mettono in gioco se stessi e i loro gruppi dirigenti. Certo, non sarà un vertice o una seduta parlamentare a provocare il miracolo, quanto la presa d'atto che il movimento di Grillo sta sfiorando il 20 per cento nei sondaggi. Può darsi che invertire la tendenza sia ancora possibile, ma il tempo è davvero poco. Tre mesi, come per l'euro.
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