
30/08/10
La Gazzetta del Mezzogiorno
Dalla storica presenza in Fiat, passando per il calcio, per arrivare infine a sedere, come grande azionista, nel salotto buono della finanza italiana. Sono vecchi e molteplici gli interessi libici in Italia, controbilanciati da una rilevante presenza delle big italiane nel paese nordafricano. Dall'Eni a Finmeccanica, fino ai grandi costruttori, tra tutti Impregilo e Italcementi, impegnati nell'opera di infrastrutturazione della ex colonia italiana, a partire dai 1700 km della nuova «superstrada» Rass Ajdir-Imsaad, la cui realizzazione sarà affidata a imprese italiane.
Ma è recente la maggiore e più discussa novità nei rapporti finanziari tra l'Italia e la Libia. All'inizio di agosto la Libyan Investments Autorithy (Lia), il braccio finanziario del leader Muammar Gheddafi nato con lo scopo di gestire i proventi del petrolio, ha annunciato di aver portato la propria partecipazione in Unicredit sopra la soglia del 2%, facendo così lievitare l'intera compagine libica intorno al 7%, visto che la Banca Centrale Libica e la Libyan Arab Foreign Bank sono insieme titolari del 4,98%: con quest'operazione i libici sono diventati il primo socio della banca, superando anche gli Aabar di Abu Dhabi.
Oltre a Unicredit, intanto, le partecipazioni rilevanti della finanza libica in Italia riguardano l'azionariato della Juventus, in cui la Libyan Arab Foreign Investment Company (Lafico) detiene il 7,5%, e il 14,8% di Retelit, la società di tlc costituita nel 2007 e che ha successivamente vinto l'asta per il Wi-Max nelle regioni del Nord Italia. Della vecchia partecipazione in Fiat non si hanno più notizie da quando (ad agosto 2006) la Lafico ha ridotto la propria quota sotto il 2% (soglia per le partecipazioni rilevanti Consob); ma in compenso la Lybia Africa Investment Portfolio ha avviato una nuova joint venture con Finmeccanica (dopo la Liatec, Libyan Italian Advanced Tecnology Company, costituita nel 2006 per realizzare elicotteri), e la Lybian Development Investment Co si è associata con Impregilo nella Impregilo Lidco. Da parte italiana l'Eni ha invece annunciato in questi giorni che investirà in Libia 25 miliardi di dollari mentre, ad inizi agosto, Finmeccanica (attraverso il consorzio Ansaldo Sts e Selex Communications) ha firmato con Zarubezhstroytechnology, società controllata dalle Ferrovie Russe Jsc Rzd, un contratto da 247 milioni di euro per realizzare sistemi di segnalamento, alimentazione e comunicazione sulla tratta, da Sirte a Bengasi. L'incrocio di affari sempre più esteso tra Italia e Libia fa gridare alla scandalo i difensori dei diritti civili i quali temono che gli interessi economici possano offuscare i soprusi compiuti in patria dal dittatore nordafricano.
I Radicali «Italia svenduta a un dittatore»
«Il circo mediatico che accoglie il dittatore Gheddafi serve a coprire le scomode verità che si nascondono dietro il Trattato Italia-Libia». Lo ha detto Mario Staderini, segretario di Radicali italiani. Un Trattato spiega - «che, in nome delle politiche xenofobe della Lega e di enormi affari per gruppi economici fiancheggiatori della partitocrazia, svende il nostro Paese al servizio di chi da 40 anni viola i diritti umani praticando tortura e morte». Di questo l'opinione pubblica non sarà informata, «così -aggiunge - come non potrà sapere quanto la politica estera italiana sia condizionata dalle cricche che gestiscono energia, difesa, armi e infrastrutture. Una linea su cui si ritrovano uniti, ad eccezione dei Radicali e di pochi altri, maggioranza e opposizione».
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