
Il colloquio tra Berlusconi e Fini è l’immagine fedele di questo momento della politica italiana. Tutto resta irrisolto. Oggi non è possibile, tra i due fondatori del Popolo della Libertà, né una guerra distruttiva né una pace vera.
Allo stesso modo, lo abbiamo appena visto, non è pensabile un’autentica riforma tributaria che abbassi la pressione fiscale: cioè la sola cosa che interessa ai cittadini e alle imprese. Il presidente del Consiglio ripropone il vecchio progetto delle due aliquote e poi è costretto dal realismo del ministro dell’Economia a precisare che non ci sono le risorse per tagliare le imposte. Al massimo ci si può attendere nel prossimo futuro una certa semplificazione nei modu-
7 li che servono a dichiarare i redditi.
Ad accompagnare l’inizio del 2010 c’è l’impressione, forse sbagliata, di sostanziale paralisi. Da un lato, Berlusconi e Fini non possono andare d’accordo perché hanno modi e stili diversi, ormai quasi opposti, di interpretare il rapporto fra politica e istituzioni. Dall’altro, non possono nemmeno consumare una frattura definitiva, per ovvie ragioni politiche. Possono promettersi che da oggi in poi ricominceranno a consultarsi: addirittura a sentirsi una volta alla settimana. Persino a incontrarsi «se Fini mi invita», come precisa il premier tra il serio e il faceto.
L’esito del colloquio di ieri viene spiegato da La Russa con argomenti e sfumature che di solito si riservano agli incontri al vertice tra capi di Stato che non si amano. Qui invece si tratta dei due principali esponenti del partito di maggioranza. Peraltro il motivo contingente di contrasto (il decreto legge «blocca processi») era già stato sgombrato dal tavolo. Tra l’altro avrebbe messo in grave difficoltà il Quirinale e dunque la soluzione era obbligata.
Il Berlusconi di oggi è alquanto diverso da quello che pochi mesi fa attaccava il presidente della Repubblica e la Consulta. Oggi si rende conto che una norma controversa come lo «scudo giudiziario» può passare solo in una cornice di relativa serenità istituzionale e anche politica. È ciò che vuole Napolitano ed è un punto che Fini ha ribadito di continuo, chiedendo rispetto per il Parlamento.
In un certo senso, il colloquio di ieri era persino superfluo. L’aspetto importante, un nodo di tipo politico-istituzionale, riguardava l’iter delle leggi sui processi ed era già stato affrontato. Il che non garantisce ancora nulla per il futuro. Né pace né guerra. E ogni giorno porterà la sua pena perché le contraddizioni restano tutte. D’altra parte, il voto nelle regioni è alle porte ed è interesse generale ridurre le aree di conflitto e prevedere un’equa divisione del potere. Ma non ci si aspettino svolte clamorose in grado di provocare un cambio di passo della legislatura. Al momento prevale un senso di attesa in stile Fortezza Bastiani.
Ecco perché anche l’attacco all’Udc e alla sua politica delle alleanze variegate è sembrato velleitario. È un comportamento «inaccettabile» quello di Casini, ma Fini si è affrettato a far sapere che il partito centrista continua a essere un alleato per oggi e per domani, laddove è possibile. Dunque, anche in questo caso si resta al punto di partenza. In qualche regione, come nel Lazio, il centrodestra non può fare a meno di Casini. Perciò Berlusconi dovrà accettare che altrove l’Udc si presenti con il Pd di Bersani. La polemica è sterile, come si è rivelato sterile l’annuncio delle due aliquote fiscali.
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