
Le elezioni anticipate, si sa, sono un trauma, anche se a volte necessario. Ma peggio ancora è il parlarne per mesi come se fossero l’unico sbocco possibile e poi rinunciarci perché, come tutto in politica, vanno costruite ed è necessario un accordo per ottenerle.
Adesso che dopo mesi di dibattito è scontato che al voto si andrà nella prossima primavera, al massimo con un piccolo anticipo dello scioglimento delle Camere, per evitare, in tempi in cui la crisi non consente vuoti di potere, l’ingorgo istituzionale tra le elezioni politiche e la fine del settennato del Presidente della Repubblica, le prime conseguenze stanno venendo allo scoperto proprio in questi primi giorni dell’incerta ripresa autunnale.
La trattativa sulla legge elettorale è bloccata. Sembrava a un passo dal risultato quando si parlava ancora di scioglimento anticipato delle Camere entro settembre, ma adesso è tornata in alto mare. Il centrodestra, con Quagliariello, uno degli sherpa che aveva condotto la prima fase del negoziato, accusa il centrosinistra di aver cambiato idea perché stretto tra l’anima ulivista del Pd (Prodi) che preme per salvare il maggioritario, e le pressioni del possibile futuro alleato di governo Casini a favore di un sistema proporzionale, in cui l’alleanza di governo e il leader chiamato a guidarla si decidano dopo, e non prima, del voto. Il centrosinistra replica sostenendo che sono le indecisioni di Berlusconi sull’eventualità di tornare in pista per Palazzo Chigi a rendere impossibile l’intesa.
Per la stessa ragione intanto nel Pd sono entrate in discussione anche le primarie. A chiederle, paradossalmente, sono ormai solo Bersani e Renzi. Il segretario le vuole per ricavarne la definitiva investitura a candidato premier. Il sindaco di Firenze per ridisegnare la mappa del potere interno, e soprattutto dell’ala centrale del partito. Da cui invece, al contrario, si levano le voci più dure contro le primarie: Bindi, Marini, Fioroni, Franceschini si appellano allo statuto, che prevede che il segretario sia automaticamente schierato nella corsa elettorale, anche perché sarebbero i più direttamente danneggiati da un eventuale successo di Renzi. Il quale, se davvero riuscisse a coagulare un quarto degli elettori delle primarie sul suo nome, il giorno dopo potrebbe sedersi al tavolo delle candidature rivendicando un’uguale percentuale di candidati per la Camera e il Senato. E preparandosi, nella nuova legislatura, a esercitare il ruolo di ago della bilancia della nuova maggioranza, che i sondaggi continuano a dare per scontata.
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