
14/10/10
Il Riformista
Chissà cosa abbia ricavato il ministro La Russa dal suo tour de force in Parlamento ieri. Certo un appoggio men che entusiasta all'idea di armare i nostri caccia con missili, ancorché intelligenti. Non sappiamo se l'idea sia stata dettata dall'urgenza di mandare a caldo un segnale ai militari e alle famiglie, ma il fatto rimane che andare a cercarsi coperture politiche è stata forse una mossa incauta, oltre che impropria, alla luce anche di come il Governo ha trascurato il Parlamento in materia di politica estera sin dall'inizio di questa legislatura.
Comunque stiano le cose, il cerino è tornato nella mani di La Russa che ora dovrà prendere le sue decisioni. Magari dopo aver consultato gli alleati perché non siamo i soli in questa avventura. E prendere decisioni in modo unilaterale rischia di far perdere il senso della nostra presenza all'interno di una forza multinazionale. Viceversa, ci aspettiamo che la Nato non tenga l'Italia all'oscuro delle iniziative in corso per facilitare gli incontri tra Talebani moderati e i piani alti del governo afghano. Staremo a vedere. Nel frattempo, spente le luci dei riflettori sulle nostre questioni domestiche, sullo sfondo rimangono due problemi a dir poco enormi, che ieri in aula al Senato sono stati toccati da alcuni, Emma Bonino in particolare che ha sollecitato un atteggiamento meno convenzionale e più innovativo (non pervenuto, invece, il dibattito alla Camera...).
Il problema dell'oppio, anzitutto, per il quale una soluzione radicale s'impone, come potrebbe essere quella di acquisire l'intera produzione destinandola al mercato legale degli anti-dolorifici di cui il mondo, soprattutto quello in via di sviluppo, ha grande bisogno. Una soluzione ovvia, scontata, quasi banale, e sulla cui bontà qualsiasi addetto ai lavori concorderà ma solo a bassa voce; ufficialmente, continua a prevalere la linea fallimentare della repressione e del proibizionismo, accompagnata da velleitarie proposte di colture alternative. Anche questa partita un giorno sarà vinta, ma quanti anni - e vite umane - avremmo perso in attesa di una leadership meno ottusa e più lungimirante?
Il problema poi dell'Afghanistan come crocevia d'interessi che nulla hanno a che vedere con la pace, la stabilità e la democrazia. Quelli del Pakistan, che spesso lo portano a fare il doppio, se non il triplo, gioco, quasi sempre in chiave anti-India, il suo nemico storico. Quelli degli Usa, che sfruttano la posizione geografica della Provincia di Herat per costruire basi aree in previsione di un attacco all'Iran, che a sua volta sobilla le aree sciite e foraggia gli insorgenti. Quelli affaristici della Cina, sempre vorace di materie prime. Quelli delle ex Repubbliche sovietiche che perseguono le loro politiche "etniche" al nord...
Insomma, comportamenti guidati da secondi o terzi fini che rischiano di perpetuare il destino storico dell'Afghanistan, dal Grande Gioco delle ombre ottocentesche in poi, quello cioè di rimanere instabile e fuori controllo. Un destino che, evidentemente, continua a far comodo a troppi. In questo contesto opaco, complesso, con la situazione sul campo lontana dall'essere risolta, continuare a dare una tempistica al ritiro delle truppe, come insiste inavvedutamente a fare il nostro ministro degli Esteri, non solo è una contraddizione in cui è già inciampato Obama, pagando un alto prezzo politico, non solo concede spazio strategico agli avversari, ma riaccende anche gli interessi contrapposti dei paesi confinanti, contribuendo così ad allontanare qualsiasi ipotesi di un nuovo Afghanistan.
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