
Il voto amministrativo avrà quest'anno un significato peculiare e rilevante. Non solo come grande sondaggio sugli umori e gli stati d'animo degli elettori, da far poi valere sul tavolo della politica nazionale.
Questo avviene quasi a ogni scadenza e non sarebbe in sé una novità, visto che le elezioni sono una merce che in Italia non scarseggia mai. Il dato interessante riguarda la scomposizione degli schieramenti, il loro presentarsi frammentati davanti agli italiani.
Riguarda la tendenza a mimetizzarsi dietro lo scudo delle liste civiche per aggirare le conseguenze della perdita di credibilità e frenare la protesta anti-sistema.
Sotto questo profilo l'inchiesta che oggi il Sole 24 Ore presenta costituisce uno spaccato di grande interesse, a conferma della fase di transizione in cui vive il sistema politico. A livello nazionale i partiti non riescono ancora a ritagliarsi una chiara identità dopo l'avvento del governo "tecnico". Le riforme istituzionali restano un progetto abbastanza generico, a meno che già nelle prossime settimane il Parlamento non cominci a votare per ridurre il numero di deputati e senatori e rafforzare i poteri del premier (ma è tutto da dimostrare che lo farà).
Quanto alla legge elettorale, sono ormai in pochi a credere che il "porcellum" sarà sradicato prima della fine della legislatura: più probabile una serie di correttivi che comunque non elimineranno il "premio" di maggioranza e l'obbligo di alleanze pre-elettorali. Sta di fatto che se la politica nazionale è ferma, la politica locale è costretta a misurarsi con l'incognita del voto. E qui la sfida diventa cruciale. Da un lato si capisce che la buona politica oggi può essere soprattutto buona amministrazione nei comuni. Dall'altro il vento del malessere sociale soffia impetuoso. La pressione delle organizzazioni populiste anti-sistema (preferisco usare questa espressione in luogo di «anti-politica», che è più ambigua) si va accentuando, di pari passo con la debolezza della politica tradizionale.
È tipico delle situazioni di crisi economica e sociale.
Contro il parlamentarismo, contro la corruzione, contro gli istituti della democrazia rappresentativa (peraltro spesso inquinati da una classe dirigente chiusa e abbastanza miope che fa il gioco degli avversari). E poi ancora: contro il fisco oppressivo, contro lo Stato visto come nemico. La casistica è ampia e le conseguenze di questi movimenti sono quasi sempre deleterie. Ripartire dal basso, dagli enti locali, può essere un'ottima idea: un'iniezione di serietà, di dinamismo e di buongoverno.
Purtroppo non vorremmo che l'aumento impressionante delle liste civiche, incrementate del 61 per cento nei ventisette comuni capoluogo in cui si vota, fosse solo un travestimento. Ovvero una mossa disperata. Bisogna augurarsi che sia invece il primo passo verso una maggiore consapevolezza nel rapporto fra i partiti, vecchi o nuovi, e l'opinione pubblica. Mai come oggi occorre ripartire dai comuni, purché sappiano adottare modelli virtuosi nella spesa pubblica, nonostante le asprezze e le ingiustizie del "patto di stabilità". La sfida del rinnovamento è una cosa seria, da non confondere con lo sfarinamento dell'offerta politica, da cui deriverebbe solo una grave forma d'ingovernabilità a tutti i livelli.
Il punto è che le forze politiche dovranno rendersi conto che oggi è l'ora, sì, del realismo, ma anche della serietà e della correttezza morale.Le ondate demagogiche si nutrono anche e soprattutto degli errori del governo nazionale e degli scandali nelle regioni, ma in particolare della crescente inerzia di partiti che spesso hanno tradito la loro missione e i loro ideali. In un certo senso il voto amministrativo è un'opportunità - una delle ultime - per trasmettere agli elettori un messaggio positivo. Non va dispersa.
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