
04/08/10
Il Sole 24Ore
Il sottosegretario Caliendo oggi non sarà «sfiduciato» dalla Camera, ma non c'è dubbio che la vicenda lascia parecchie ferite e contribuisce a cambiare il quadro politico. Con effetti ancora insondabili, ma certo poco incoraggianti per il futuro del governo che in settembre, alla ripresa, si troverà a procedere sul filo del rasoio. In ogni caso negli eventi degli ultimi giorni s'intravedono più sconfitti che vincitori. Silvio Berlusconi si è indebolito. I numeri della maggioranza erano ampi due anni fa; oggi, se il gruppo finiano non vota, i deputati del Pdl e della Lega insieme non raggiungono la maggioranza assoluta (316). Da qualsiasi prospettiva la si guardi; la strada dell'esecutivo è diventata precaria. Agli intoppi il premier risponde minacciando le elezioni, ma il suo problema è che nessuno gli farà il favore di provocare la caduta del governo (almeno per qualche tempo). Il rischio concreto consiste invece nel logoramento inesorabile dell'equilibrio politico. Che per Berlusconi, sulla scena da sedici anni, coincide con il lento appannarsi della sua immagine. Perciò è del tutto comprensibile che il presidente del Consiglio intenda lavorare anche d'agosto. Mai come oggi è necessario un nuovo dinamismo, un'idea originale in grado di sedurre l'opinione pubblica. Ma forse è troppo tardi. Forse siamo davvero alla fine di una lunga stagione. Gianfranco Fini sta giocando la partita più pericolosa della sua vita. Si tratta di tenere insieme «Futuro e Libertà», non perdere alcun adepto e magari guadagnarne cammin facendo un paio d'altri. Ma il sentiero del presidente della Camera è stretto: né con Berlusconi né con l'opposizione, riuscendo a dire molti «sì» al governo, ma anche qualche «no» decisivo. L'astensione su Caliendo ha in sé un elemento di forte ambiguità e tuttavia è l'unica scelta possibile nelle attuali circostanze. Alla ripresa, è evidente, sarà tutto più difficile. Quanto al «terzo polo», allo stato delle cose è solo un titolo sui giornali. Non basta certo un'astensione su di una mozione di sfiducia per innescare una rivoluzione politica. Non a caso il più cauto al riguardo è proprio Casini, che più di altri avrebbe titolo per parlare di crisi del bipolarismo. Al momento vediamo un'area poco omogenea di circa 8o deputati, che in alcuni casi e a certe condizioni potrebbe votare in modo concorde. Non è poco, ma certo non è il «terzo polo». Il quale prenderebbe forma solo con una nuova legge elettorale di cui non si vede traccia. È soprattutto il Partito Democratico a dare enfasi all'ipotesi del terzo polo. E si capisce, perché per la sinistra vorrebbe dire confrontarsi con un centro più solido. Ma il Pd ha oggi il problema di mettere a fuoco una linea più realistica. L'insistenza su Tremonti premier, le aperture alla Lega, le ipotesi di governi «tecnici» sono prese di posizione che lasciano perplessi. Nel migliore dei casi sono uscite premature. Il governo è in difficoltà, ma non è in crisi. Le soluzioni suggerite da Bersani e altri avrebbero una logica dopo le dimissioni di Berlusconi, non prima. Adesso sono solo un tentativo piuttosto scoperto e non troppo efficace di mettere un cuneo fra Tremonti e il premier, fra la Lega e il Pdl. Può far piacere al ministro dell'Economia, ma non restituisce un ruolo al centrosinistra, di cui si coglie solo la paura delle elezioni. Quella paura che Di Pietro non ha, per cui appare il solo con le idee chiare.
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