
10/05/10
Il Sole 24Ore
Il teatro romano, al centro di Teramo, dovrà rinunciare ad avere uno spazio tutto suo. Sul sito, infatti, si trovano due edifici che impediscono il totale recupero dell’area archeologica e di cui da tempo si chiede la rimozione.
Una vicenda che va avanti dal 1998, quando il 31 luglio la soprintendenza impose il vincolo sui resti del teatro e sugli edifici che si trovano sulle parti sepolte del monumento. L’obiettivo era di acquistare, esercitando il diritto di prelazione, gli edifici (casa Adamoli e il palazzo Salvoni), smontarli e ricostruirli
altrove, così da poter riportare interamente alla luce la cavea e la fronte scenica del teatro.
Operazione che, però, non è andata in porto perché intralciata da un ricorso al Tar Abruzzo e da cortocircuiti burocratici tra ministero dei Beni culturali, soprintendenza e comune di Teramo.
E questo nonostante - come sostiene l’associazione Teramo Nostra, che porta avanti il progetto di recupero del teatro - siano disponibili 1,6 milioni di fondi Cipe, che rischiano di prendere altre strade. Le lamentele dei cittadini teramani sono state raccolte in un’interrogazione parlamentare presentata alla Camera da Elisabetta Zamparutti (Pd), che ha chiamato in causa il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi.
Bondi ha risposto spiegando che per il recupero completo dell’area archeologica «non sarebbe sufficiente la sola demolizione del caseggiato Adamoli e di palazzo Salvoni, ma andrebbero previste ben più ampie demolizioni, fino probabilmente a interessare la vicina chiesa di San Bartolomeo, insistente parzialmente sulla frons scenica del teatro».
Ipotesi, spiega Bondi, che non è al momento percorribile «perché non sono mai state condotte indagini archeologiche che confermino con certezza la presenza dei presunti resti del teatro romano al di sotto degli edifici esistenti». Si faranno - assicura il ministro - interventi di consolidamento e si valorizzerà l’area con un impianto di illuminazione e nuove vie di accesso. Però, il vecchio progetto di recupero che aveva chiamato in causa anche la regione Abruzzo e il comune di Teramo - per ora viene messo in naftalina.
Una vicenda che va avanti dal 1998, quando il 31 luglio la soprintendenza impose il vincolo sui resti del teatro e sugli edifici che si trovano sulle parti sepolte del monumento. L’obiettivo era di acquistare, esercitando il diritto di prelazione, gli edifici (casa Adamoli e il palazzo Salvoni), smontarli e ricostruirli
altrove, così da poter riportare interamente alla luce la cavea e la fronte scenica del teatro.
Operazione che, però, non è andata in porto perché intralciata da un ricorso al Tar Abruzzo e da cortocircuiti burocratici tra ministero dei Beni culturali, soprintendenza e comune di Teramo.
E questo nonostante - come sostiene l’associazione Teramo Nostra, che porta avanti il progetto di recupero del teatro - siano disponibili 1,6 milioni di fondi Cipe, che rischiano di prendere altre strade. Le lamentele dei cittadini teramani sono state raccolte in un’interrogazione parlamentare presentata alla Camera da Elisabetta Zamparutti (Pd), che ha chiamato in causa il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi.
Bondi ha risposto spiegando che per il recupero completo dell’area archeologica «non sarebbe sufficiente la sola demolizione del caseggiato Adamoli e di palazzo Salvoni, ma andrebbero previste ben più ampie demolizioni, fino probabilmente a interessare la vicina chiesa di San Bartolomeo, insistente parzialmente sulla frons scenica del teatro».
Ipotesi, spiega Bondi, che non è al momento percorribile «perché non sono mai state condotte indagini archeologiche che confermino con certezza la presenza dei presunti resti del teatro romano al di sotto degli edifici esistenti». Si faranno - assicura il ministro - interventi di consolidamento e si valorizzerà l’area con un impianto di illuminazione e nuove vie di accesso. Però, il vecchio progetto di recupero che aveva chiamato in causa anche la regione Abruzzo e il comune di Teramo - per ora viene messo in naftalina.
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