
Braccialetto o cavigliera antievasione, il governo più compassato della Repubblica potrebbe riuscire nell'impresa di sdoganare l'elettronica per svuotare le celle. Parla anche dell'istituzione «di una sorta di carta dei diritti e dei doveri di chi è in carcere», il neo Guardasigilli Paola Severino, alla sua prima audizione davanti alla commissione Giustizia del Senato. L'idea è quella di un decalogo «naturalmente da tradurre nelle varie lingue» e «da estendere ai familiari», con l'obiettivo di «alleviare le sofferenze dei detenuti». Ma quando si tocca il tasto dell'amnistia contro il sovraffollamento, su cui insistono da mesi i radicali di Pannella, l'avvocato prestato al governo plana dai piani alti dei principi alle boe della navigazione a vista.
«Ricordo a me stessa prima che agli altri - osserva il ministro che non è un provvedimento di iniziativa governativa, richiede iniziative parlamentari. Stiamo cercando di verificare se non vi siano altri mezzi deflattivi che abbiano maggiore portata stabilizzante del sistema carcerario».
Ed ecco aprirsi lo spiraglio per far entrare, nell'armamentario delle possibilità, uno strumento alternativo di cui si parla da anni. «Forse si potrebbe riuscire a varare un progetto per l'utilizzazione del 'braccialetto elettronico' più ampia di quanto sia avvenuto sino ad oggi». Paola Severino ha confermato che in Italia l'impiego di questo strumento, per cui va prestato «il consenso preventivo da parte dell'interessato», è stato «molto scarso in questi anni», rispetto al «grande successo» che ha registrato in altri Paesi d'Europa e negli Stati Uniti. «Ho già avuto una riunione con il ministro dell'Interno per capire il perché di questo fallimento - ha spiegato il Guardasigilli - e, di fronte a un problema tecnico che sembrava irrisolvibile, abbiamo unito le forze».
Ma, ha ricordato a tutti Paola Severino, la questione giustizia è complessa e il programma del governo Monti «è necessariamente scarnificato dai tempi che ha davanti: nella migliore delle ipotesi potrebbe durare poco più di un anno». Per il ministro è proprio questa la ragione per cui «sarebbe ambizioso e irrealizzabile porsi delle mete come la riforma del codice di procedura penale o del codice penale».
Una prima risposta, sia pure indiretta, è arrivata dall'ex premier Berlusconi. «Abbiamo intenzione di lavorare ancora sulla riforma della giustizia da qui fino alla fine della legislatura», ha ribadito. E il vice presidente del Csm, Michele Vietti, ha riproposto una «drastica depenalizzazione» dei reati. «Non è possibile che 200mila processi all'anno si prescrivano».
«Credo che soprattutto per un governo tecnico come il nostro ha sottolineato il ministro Severino - il confronto parlamentare sia più importante che per un governo di forma politica: non possiamo portare avanti alcun progetto senza un consenso parlamentare». Un esempio? «Siamo tutti d'accordo - ha precisato - nello snellire le circoscrizioni giudiziarie e ci sono già le premesse normative affinché ciò accada». Infine un messaggio ai suoi colleghi con la toga, sul piede di guerra: «Nessuno ha mai parlato di abolizione degli ordini professionali». Perché «liberalizzare non vuole dire consentire a chiunque di fare l'avvocato, ma liberare gli ostacoli eccessivi all'esercizio delle professioni».
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