
03/12/10
Libero Quotidiano
Appuntamento nella sala del governo, a Montecitorio. Tavolata lunga, da un lato Ignazio La Russa e una delegazione del PdL, dall’altro Marco Pannella e i deputati radicali. Parlano e poi ciao, ognuno per la sua strada. A sentire il commento postumo del leader antiproibizionista, quell’incontro sembra essere stato una reciproca perdita di tempo: «Abbiamo deciso di tornare a vederci il 16 dicembre, due giorni dopo il 14, per marcare che quale che sia la soluzione (Berlusconi bis o tris, Tremonti a, b, c o d), noi dobbiamo lavorare per trovare soluzioni effettivamente riformatrici e democratiche per sostenere la situazione che sarà in quel momento quel che sarà». Boh. La traduzione del Pannella-pensiero, trasmesso da Radio Radicale, sembrerebbe essere questa: caro governo, ci rivediamo dopo la fiducia se stai ancora in piedi, scordati pure che la, stampella radicale ti soccorra, nel giorno dei giorni. Però...
Però la vecchia volpe di largo Argentina non la racconta tutta. La riunione non è andata male, anzi. Premessa: è già da un po’ che, a livello parlamentare, si promuovono iniziative comuni, PdL-radicali. Ed è un rapporto coltivato in particolare dal deputato Carlo Ciccioli, che ha sottoscritto con Rita Bernardini e il resto della truppa radicale mozioni e risoluzioni su pena di morte, Iran e altre questioni importanti. Insomma, il terreno era stato preparato per bene. Per cui l’ipotesi di una joint-venture, già nel giorno della fiducia, non suona affatto come una bestemmia. I radicali hanno posto sul tavolo della riunione le cose che a loro stanno più a cuore: le carceri, il pluralismo televisivo, la riforma della giustizia e anche la legge elettorale. Tutti temi su cui il Popolo della Libertà è pronto a discutere. In più, i pannelliani hanno pure lamentato l’assenza di un sottosegretario alla Giustizia con una specifica delega ai penitenziari. Tanto che la controparte avrebbe promesso di rimediare, appena dopo la, verifica parlamentare. Già, la fiducia: i deputati radicali sono sei e sono stati eletti nelle file del Partito democratico. Chiedere loro di votare contro la mozione presentata da opposizioni e terzo polo sarebbe troppo. Ma gli antiproibizionisti valuteranno la possibilità di astenersi, questo sì l’hanno promesso. C’è ancora tutto il tempo per decidere: le controparti si sono date appuntamento per il 13 dicembre, il giorno prima del voto.
E ora calcolatrice, perché a questo punto i conti vanno riaggiornati. PdL, Lega, meridionalisti e gli altri fedeli a Berlusconi hanno 310 voti. Facciamo 311, visto che Giampiero Catone sembra essere intenzionato a lasciare Futuro e Libertà per tornare alla casa madre. Pd, Italia dei valori e terzo polo mettono insieme 316 voti, più Gianfranco Fini, ma consuetudine vuole che il presidente della Camera non participi alle votazioni. Gli astenuti dovrebbero essere due e sono i deputati delle minoranze linguistiche. Con questi numeri, il presidente del Consiglio finirebbe sfiduciato: non ci sono santi.
Ma se i radicali decidessero di non votare contro il governo, i rapporti di forza cambierebbero eccome. Esempio: fermi restando i 311 seggi della maggioranza, le forze di opposizione (da Pd fino a Fli) finirebbero per scendere a 310 voti, mentre gli astenuti salirebbero a 8. Risultato: l’esecutivo si troverebbe con una fiducia di minoranza, ma comunque in sella. E Berlusconi avrebbe la prova che gli serve: dimostrare che a Montecitorio non ci sono i numeri per una maggioranza alternativa, che sostenga un governo con un premier diverso da lui.
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