
Più che uno spartiacque, rischia di diventare un muro divisorio: una barriera di odio che può accentuare, invece di ridurre la distanza fra ciò che è percepito come berlusconiano e tutto quello che gli si oppone. L’aggressione di domenica in Piazza Duomo al presidente del Consiglio non ha calmato gli animi. Per questo ieri Giorgio Napolitano ha deciso di ritornare sul ferimento di Berlusconi; e di restituirlo alle sue dimensioni gravi e allarmanti. Il centrodestra sembra di colpo placato dopo le tensioni delle ultime settimane fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Ma la rabbia e la voglia di puntare il dito contro gli avversari è prepotente. E l’opposizione deve fare i conti con se stessa.
Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, dice parole nette e coraggiose contro la violenza e va a trovare il premier in ospedale. Ma deve guardare in faccia la realtà di un pezzo del partito, che condanna il ferimento del premier fra mille distinguo; e di un’Idv, l’alleato-concorrente, che rivendica il proprio diritto ad un antiberlusconismo senza solidarietà né pentimenti. È come se la «sindrome di Piazza Duomo» continuasse a gravare su un Paese dominato dall’ipoteca delle minoranze; e rallentasse la capacità di reazione contro un episodio «folle» che si sta rivelando il sintomo di una normalità avvelenata. Sembra si faccia fatica a comprendere fino in fondo quanto è accaduto.
Le logiche conflittuali minacciano di raffreddare l’emozione e l’allarme per qualcosa che invece deve preoccupare. «È stato colpito e ferito il presidente del Consiglio», avverte Napolitano in un’intervista al Tg2. «E anche se verrà verificato che si è trattato del gesto di uno sconsiderato, dobbiamo essere tutti egualmente allarmati. E quando dico tutti, intendo tutti gli italiani che credono nella democrazia e hanno a cuore che venga garantita la pacifica convivenza civile». Sono parole che chiedono chiarezza e coerenza di comportamenti; ed invitano ad assumere un atteggiamento diverso dall’esasperazione pericolosa delle polemiche. È un’insistenza figlia di una grande preoccupazione.
Motivata, verrebbe da dire dopo la reazione di Antonio Di Pietro, che finge di non essere uno dei principali destinatari dell’appello; ed invita la maggioranza a seguire i consigli di Napolitano. In realtà, il capo dello Stato sembra indovinare le potenzialità ed insieme i pericoli che si presentano dopo l’aggressione a Berlusconi. Quando insiste sull’esigenza di non vedere «complotti», parla al governo. E quando avverte che c’è una maggioranza votata per guidare il Paese per cinque anni, e dunque non bisogna inseguire «scorciatoie», si rivolge all’opposizione. L’impressione è che sia un’esortazione simmetrica a non accarezzare l’idea di elezioni anticipate.
Segno che il pericolo di rotture è tutt’altro che scongiurato; e che per il momento è difficile calcolare i contraccolpi che l’aggressione in Piazza Duomo produrrà. L’idea di una manifestazione di solidarietà a Berlusconi organizzata dal Pdl a febbraio fa pensare ad un’onda lunga ed emotiva. E l’insistenza dell’Idv nell’attaccare il presidente del Consiglio evoca un progetto di esasperazione dei contrasti: un «tanto peggio, tanto meglio» che si salda con la voglia di vendetta di qualche minoranza esagitata del centrodestra. Napolitano addita dunque una ricomposizione difficile, eppure obbligata: l’unica in grado di esorcizzare il fantasma di violenze vecchie e nuove.
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