
13/09/10
la Repubblica
Scommette sulla lealtà dei finiani e sulle tentazioni dei centristi, sicuro che la legislatura alla fine durerà tre anni e che la maggioranza in aula sarà più numerosa del previsto. Alle ragazze il consueto invito a sposare un uomo ricco. Ai ragazzi quello di trovare lavoro, sì, ma all'estero: «Fate esperienza internazionale».
Silvio Berlusconi all'ombra del Colosseo detta le sue ricette alla Giovane Italia pidiellina che si ritrova a ora di pranzo, per la chiusura della festa di Atreju, un tempo tradizionale appuntamento della destra romana. Li spiazza un po', tra una barzelletta su Hitler, un battuta sui troppi «arbitri di sinistra» sulla strada del Milan e un'interminabile filippica su comunismo, marxismo e la dittatura dell'Unione sovietica (ancora). Alla fine si sottrae pure al gioco di casa, quello della torre. Ma i venti-trentenni in platea sono tutti per lui.
Applausi, risate, cori e foto ricordo a go-go. Due tre messaggi a cui tiene però il presidente del Consiglio - che si presenta col look da week end, camicia blu fuori dai pantaloni e giacca - comunque li lancia. Il primo all'indirizzo di Gianfranco Fini. Mai citato. Ma basta evocarlo (e dire che anche lui, qui, era di casa un tempo) che piovono fischi dalla platea. «Il PdI esiste ed esisterà sempre - esordisce sulla poltroncina Berlusconi perché non è un partito ma un popolo che non si riconosce nella sinistra». Altro che finito. E quando la Meloni gli chiede se il governo ce la farà ad andare avanti, lui risponde senza esitazione: «Certamente. Andremo alle elezioni fra tre anni: gli elettori non ci perdonerebbero un ritorno alle urne dopo due anni, ci direbbero che non siamo stati capaci di mantenere una maggioranza di cento deputati». A breve si risolverà tutto, in aula. «Abbiamo un programma, i cinque punti che porteremo in Parlamento, presenteremo una risoluzione che dovrà essere votata e vi dico che ci sarà una grande maggioranza». Ecco dunque accolta la sfida lanciata dal presidente della Camera Fini, il giorno prima, da Ottawa. Sul discorso programmatico del premier, probabilmente il 28 a Montecitorio, un voto ci sarà. Resta l'incognita sui numeri. I leghisti (in ultimo ieri Maroni) chiedono che siano 316 ma senza i finiani, sola condizione per l'autosufficienza. Su questo punto Berlusconi taglia corto: «Non solo ci sarà maggioranza, ma ci sarà una grande maggioranza».
Qui si apre la nota dolente di chi al Pdl ha voltato le spalle. «Va bene il dissenso - spiega ai ragazzi- ma non era possibile continuare gettando cattiva luce sul governo, il partito e il primo ministro». Se non fosse intervenuto, insiste, «mi avrebbero dato del rincoglionito o avrebbero detto che sono sotto ricatto: con le loro critiche abbiamo perso il 5 percento di consensi». Detto questo, si dice certo che i parlamentari di Fli abbiano voluto rispettare un debito di riconoscenza con Fini ma che «non vogliano venir meno all'impegno preso con gli elettori: saranno leali anche al simbolo del Pdl su cui era scritto Berlusconi». E le espulsioni? Le nega: «Solo deferimenti di tre persone al collegio dei probiviri che ancora non si è riunito». Un colpo a Fli, un colpo all'Udc, negli stessi momenti in cui Casini, da Chianciano, lo invitava a dimettersi per voltare pagina. Molti centristi, sostiene Berlusconi, «potrebbero votare in dissenso dal loro leader e non far mancare l'appoggio al nostro governo». Mezza frase poi corretta nel pomeriggio: «Non parlavo di Casini e dell'Udc ma dei centristi in generale». Glissa infine sull'infinito interim allo Sviluppo economico. «Sono fiero di quello che ho fatto: più di trecento provvedimenti, ho impostato bene le cose per il prossimo ministro». Che ancora, però, non c'è. Il resto sono barzellette e aneddoti. Per chiudere con lui che è un buon partito e che ha la fila fuori. «Perché sono simpatico, ho un po' di grano, la leggenda dice che ci so fare e poi pensano: lui è vecchio, muore subito e io eredito».
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