
Dato che noi non pensiamo che «Emma non voleva vincere», come invece ha scritto in un bell’articolo sulla Stampa Guido Ceronetti a maggior ragione aumentano gli interrogativi sull’esito assai deludente del partito radicale alle regionali del 29 marzo. Un nesso infatti c’è, ed evidente. Se ammettessimo l’ipotesi di una Bonino intimamente "estranea" alla contesa che pure la vedeva impegnata nientemeno come candidata a governare una regione importante come il Lazio, si potrebbe almeno parzialmente spiegare il voto negativo al Pr come effetto di questo disimpegno radicale. Ma se anche fosse vero che sia infine prevalso in loro uno scetticismo di fondo su questa consultazione elettorale, figlio soprattutto del disincanto di Marco Pannella nei confronti di una democrazia per lui irrimediabilmente malata, i numeri non tornerebbero lo stesso: la lista Pannella-Bonino ha ottenuto 123.896 voti, pari allo 0,6 per cento,
contro i 642..17 173, al 2,5 delle europee dell’anno scorso. Aggiungiamo pure i voti presi dalla lista laziale a sostegno di Emma: ma il calo c’è comunque, e netto.
Come mai, malgrado la fortissima esposizione della Bonino, la lunga campagna "alternativa" che discende dal libro-denuncia sulla peste italiana, gli scioperi della fame, le battaglie sul mancato rispetto delle regole (e con quale risonanza, stavolta!), le lotte di Rita Bernardini sulla condizione dei carcerati (ancora ieri all’Ucciardone), insomma al termine di un anno politicamente all’attacco, come mai - domandavamo - quel partito prende alla fine poco più di 100mila voti? Ci si aspettava un effetto-Bonino che nel paese non c’è stato: sarà stato anche a causa del clamoroso autogol firmato da Marco Beltrandi (il regolamento sulla par condicio che ha consentito alla Rai di mettere il bavaglio a tutti tranne ovviamente che a Berlusconi). Lei l’abbiamo vista fare campagna come ha potuto, come ha saputo: e non è certo colpa sua se in Sabina, in Ciociaria, nella Tuscia, dunque nel Lazio profondo e - diciamolo - meno acculturato e informato, le hanno preferito più di quanto si prevedesse la destra. Resta quindi la domanda sulle ragioni dell’inatteso (almeno per chi scrive) calo nazionale dei radicali.
Non basta evocare la loro natura "giacobina". C’è qualcosa di più politico, di più profondo, come se
l’elettorato reclamasse maggiore chiarezza e conseguente chiarezza sul ruolo di confine dei radicali nella politica italiana. Che forse non regge più.
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