
Ha promesso, Matteo Renzi, di desecretare tutto quello che c’è a proposito delle stragi che hanno insanguinato il paese. Speriamo accada, e sopratutto speriamo che ci possa essere qualche elemento, qualche «notizia» per accertare come si sono svolti i fatti, i mandanti, la verità insomma. Il segreto di Stato dovrebbe servire per tutelare gli «interessi supremi da difendere con il segreto di Stato: l’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato»; così almeno il decreto del 2008 a proposito del segreto di Stato; a utile integrazione possiamo aggiungere quanto poi stabilito dalla Corte Costituzionale l’anno successivo: «l’individuazione degli atti, dei fatti, delle notizie che possono compromettere la sicurezza dello Stato e che devono rimanere segreti costituisce il risultato di una valutazione ampiamente discrezionale».
Tuttavia è pur vero che troppe volte il «segreto di Stato» è stato invocato e apposto non tanto per garantire la sicurezza dello Stato, quanto per impedire di conoscere le malefatte perpetrate. A tutti verrà in mente una serie di segreti di Stato che a tutto sono serviti, meno che a difendere gli interessi supremi del Paese, la Costituzione e le sue istituzioni: che la sicurezza dello Stato sia compromessa dalla conoscenza delle dinamiche del cosiddetto «golpe bianco» degli anni ‘70, lo si può lecitamente dubitare: anche a voler proteggere eventuali fonti, sono ormai trascorsi cinquant’anni. Per quel che riguarda la strage alla stazione di Bologna, si sta parlando di 34 anni fa. Insomma, che non ci siano più zone d’ombra coperte dal segreto di Stato dovrebbe essere elementare diritto di tutti noi.
Negli Stati Uniti esiste il Freedom of Information Act (Foia): una normativa che garantisce un controllo democratico sull’azione amministrativa e di governo nel suo complesso. Approvato nel 1966, consente a tutti i cittadini di richiedere l’accesso a documenti o altro materiale conservato dalle agenzie governative, senza necessità di dimostrare un personale e diretto interesse, o anche di fornire alcuna motivazione per la domanda. L’accesso può essere negato nei casi indicati dalla legge, sostanzialmente ristretti a dati particolarmente sensibili sul piano dell’ordine pubblico interno, della sicurezza nazionale e della privacy oppure di natura confidenziale; in questi casi, la decisione è appellabile: attraverso un ricorso amministrativo interno, e nel caso di fronte ad un tribunale. Analoghi Freedom of Information Act sono in vigore in Regno Unito, Svezia, Germania, e in altri paesi europei. Non che il Foia di per sé sia sufficiente a garantire conoscenza e verità, sia pure nel tempo. E su questo ci si tornerà, che la storia è di utile insegnamento e ammonimento per il presente e il futuro.
In Italia, su questo terreno siamo molto in ritardo; la cosa andrebbe affermata e inserita nella «categoria» dei diritti umani, e potrebbe contribuire a risvegliare l’anima sfiduciata e rassegnata in cui sembra essere precipitata la democrazia italiana. Nella passata legislatura, i parlamentari radicali presentarono una interrogazione molto semplice, e breve: «Per sapere in quali casi e in quali date nella storia repubblicana sia stato apposto il segreto di Stato e per quali di questi è tuttora valido». Interrogazione rimasta inevasa. Si potrebbe partire da qui, ed è «curiosità» che il presidente Renzi potrebbe facilmente soddisfare: in quanti e quali casi il segreto di Stato è stato apposto, e per quale motivo resta? La risposta a queste domande potrebbe aiutare a fare luce sui tanti misteri di questo Paese, oltre che a corrispondere a un più generale diritto alla conoscenza e alla verità.
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