
26/10/09
Corriere adriatico
Il “caso” Marrazzo giunge, casualmente o meno, a proposito per buttare altra benzina sul fuoco del già di per sé rovente dibattito sulla moralità in politica. Alla scontata ma non del tutto granitica solidarietà del centro-sinistra si è aggiunta quella decisa e compiaciuta del centro-destra: “la vita privata non si tocca” è lo slogan su cui quasi tutti concordano. Molti, inoltre, con l’intento di aumentare il polverone, cercano di spostare la questione dell’intreccio moralità privata – moralità pubblica sul terreno della definizione di quale sia il confine tra lecito e illecito in politica, argomentando con il noto ritornello che “quello che un politico fa nella propria sfera privata non interessa i cittadini”. Un ritornello senza dubbio convincente, se solo si riuscisse a definire dove finisce, per il personale politico, la vita privata e dove inizia quella pubblica. Nel caso specifico sappiamo, ma saranno le indagini a chiarire i fatti, che il Governatore della Regione Lazio nel corso di un incontro con un transessuale, è stato filmato e ricattato da quattro carabinieri (da sola, peraltro, questa immagine dovrebbe essere sufficiente - per chi non è completamente assuefatto al degrado politco-istituzionale che ha finito per coinvolgere anche l’Arma dei Carabinieri - a farci capire dove siamo arrivati), a cui avrebbe dato del denaro per metterli a tacere.
Bene, in questo caso, possiamo dire che il “privato” di Marrazzo consiste nella sua libertà di frequentare, sessualmente o no, chi meglio crede, mentre il “pubblico”, invece, inizia laddove questa frequentazione lo rende ricattabile nell’esercizio della propria azione di governo. Nessun politico che fonda la sua carriera sulla rappresentanza generale (cioè di tutti i cittadini), istituzionale o meno che sia, può permettersi di essere, a nessun livello, ricattabile. Se entra in questa condizione di soggezione materiale e psicologica, è un politico dimezzato, diventa cioè impossibilitato ad agire a 360 gradi con la libertà che è necessaria a qualunque figura abbia un mandato istituzionale ottenuto, direttamente o indirettamente, grazie ai voti dei cittadini. La regola aurea che tutti dovrebbero rispettare appare molto semplice e non ha nulla a che vedere con i comportamenti, i gusti, le inclinazioni personali: un politico – sempre che non abbia commesso reati – può (anzi deve) rimanere al suo posto sino a quando è un uomo libero, non sottoposto ad alcun, reale o virtuale, potere ricattatorio che può modificare o coartare il suo operato pubblico e/o il suo libero convincimento. Se Marrazzo, uscito dalla casa in cui è stato ripreso in atteggiamenti magari riprovevoli per la morale privata, si fosse recato a denunciare l’accaduto, non avrebbe avuto nulla di cui rimproverarsi di fronte ai propri elettori i quali comunque sarebbero stati liberi di dare peso, in occasione della successiva convocazione alle urne, al suo comportamento privato o al suo coraggio pubblico.
Con la denuncia del ricatto, Marrazzo avrebbe mostrato di voler salvaguardare il proprio ruolo istituzionale anche a scapito dei suoi interessi privati e familiari. Non avendo scelto però quella strada, si è reso politicamente responsabile e dunque bene ha fatto ad autosospendersi. La sua colpa politica, di conseguenza, non è stata quella di aver avuto un comportamento personale moralmente deprecabile ma di aver ceduto al ricatto, costringendo i suoi ignari elettori e tutti i cittadini della regione Lazio, a farsi rappresentare da un uomo ormai diverso e da un leader più fragile di quello che essi avevano scelto.
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