
04/10/10
Corriere della Sera
È sempre più difficile credere a una tenuta della legislatura. Quanto ha detto ieri Silvio Berlusconi a Milano contro una parte della magistratura e la Corte costituzionale sbriciola qualunque prospettiva di compromesso sulla giustizia. E apre una campagna elettorale di fatto, all'ombra delle assicurazioni sulla stabilità che tutti si premurano di fare. Manca solo il casus belli, ma in una situazione del genere si troverà facilmente. Basta che Gianfranco Fini dica no allo «scudo» giudiziario voluto dal premier.
Ogni mossa del Pdl, dei suoi avversari interni e dell'opposizione sembra ormai segnata da una sorta di rassegnazione alla «campagna di primavera». In fondo, ieri il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, col suo ultimatum di tre settimane, ha anticipato le convinzioni e forse perfino le decisioni della Lega e di Palazzo Chigi. La verifica «giorno per giorno» della lealtà del partito di Gianfranco Fini, annunciata con toni di avvertimento da Berlusconi, conferma una situazione in bilico: nel senso che il governo è sottoposto a una minaccia quotidiana. Ritenere che la paura del voto anticipato o dell'astensionismo di un elettorato stanco possa essere di per sé un antidoto, è un'illusione. Né il timore del Pdl di una crescita esponenziale della Lega sembra sufficiente ad attenuare le ragioni che sembrano portare inesorabilmente al voto. Ma soprattutto, Berlusconi è convinto che l'appoggio di Fini sui temi più controversi della giustizia non sia né garantito né convinto, e tenda piuttosto a logorarlo.
Il «no» ribadito dal presidente della Camera ad una legge che penalizzi i magistrati potrebbe diventare quella prova di «lealtà» considerata lo spartiacque fra continuità e crisi. L'idea berlusconiana di creare una commissione di inchiesta contro i magistrati accusati di essere di parte è un assaggio di quanto sta per succedere. E pazienza se si tratta di un'ipotesi impraticabile sul piano costituzionale: sono tutti pezzi di una strategia della resa dei conti che spazza via le voci dei giorni scorsi che accreditavano una tregua. Sullo sfondo di quanto si è visto e ascoltato ieri, si ha semmai la conferma di due calcoli da parte del centrodestra.
Il primo è il tentativo di Berlusconi e Bossi di dimostrare che non sono loro a volere le elezioni anticipate: la maggioranza, è la loro tesi, le subisce per colpa della «slealtà» e del «tradimento» di Fini.
Il secondo riguarda il limbo, se non la confusione, in cui è immerso il centrosinistra: sulle alleanze e sulla leadership. Si tratta di un disorientamento che la coalizione berlusconiana pensa di dover sfruttare senza perdere altro tempo. «Berlusconi si prepara allo scontro ideologico», accusa il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, mentre l'Associazione nazionale magistrati insorge contro le parole del premier. Se volete battere il mio amico Silvio, «parlate di politica e non di scandali», suggerisce l'ex primo ministro laburista britannico Tony Blair. Si profila uno scenario che contiene elementi indubbi di azzardo; e che scarica sul Paese la lacerazione della maggioranza. Sono vistose le incognite che riguardano sia l'esito politico, sia i contraccolpi sulla situazione economica, sia il pericolo tangibile di conflitti istituzionali. L'unica cosa certa è che, nel caso probabile di elezioni, il i,o ° anniversario dell'unità d'Italia faticherà ad offrire l'immagine di un Paese coeso.
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