
Una certezza c`è: «Nessuno può appartenere contemporaneamente a un consiglio o a una giunta regionale e a una delle camere del Parlamento». È scritto nell`articolo 122 della Costituzione.
A chiare lettere, verrebbe da dire. Perché in altre leggi diverse dalla Costituzione si trova altresì
detto che lo scranno parlamentare è precluso a chi è presidente di provincia, così come ai sindaci delle grandi città o ancora a chi ricopre cariche in associazioni o enti che gestiscono servizi per conto dello Stato o dallo Stato ricevano contributi diretti o indiretti.
Eppure tutti questi divieti che non esauriscono comunque la lista delle incompatibilità- sono solo apparenti. O almeno non altrettanto chiari come il dettato costituzionale. Basta gettare
un`occhiata al lavoro delle giunte delle elezioni di Camera e Senato - gli organismi deputati a decidere chi, in caso di doppio incarico,
può star fuori o dentro del Parlamento - per rendersi conto che le regole del gioco cambiano se ad applicarle è Montecitorio o Palazzo Madama nonché a seconda del momento.
Fino al 2002 la Camera non aveva accettato che un sindaco di un centro con più di2omila abitanti
vestisse anche i panni di deputato. E così per i presidenti di provincia. In quell`anno, però, il
divieto assoluto si è incrinato e la cosiddetta "giurisprudenza Cammarata" (dal nome dell`allora sindaco di Palermo che per primo ha ottenuto dalla giunta delle elezioni il via libera al doppio incarico) ha preso piede, coinvolgendo dal 2004 anche il Senato. Anche nell`attuale legislatura ci si è
attenuti a quel principio (si veda, l`articolo sotto). Ci sono poi le posizioni non "politiche", riferite a compiti negli enti sportivi, nelle municipalizzate, in società private e a professionisti. La Camera ne ha valutate 24 (trovandone solo tre incompatibili) e 101 il Senato (tutte compatibili). Ma l`esame non è terminato.
Alcuni casi si sono rivelati controversi.
Montecitorio, per esempio, ha dibattuto a lungo se Lucio Stanca, con un nutrito elenco di cariche in Expo 2015, dovesse essere messo nella condizione di scegliere: o fare il deputato oppure dedicarsi all`evento milanese. Alla fine ha prevalso la linea che possa fare entrambi, sulla falsariga di quanto concesso a Maurizio Lupi, amministratore delegato di Fiera Milano congressi. In quest`ultimo caso, però, è stata fatta valere la norma (articolo i della legge 60/1953) che esclude dal divieto di cumulo le cariche negli enti fiera. Nel caso di Stanca, invece, la questione si è rivelata più complessa, tanto che Pino Pisicchio (Idv), coordinatore del comitato che all`interno della giunta delle elezioni istruisce le pratiche, ha rilevato - ma senza successo - che Expo 2o15 «non è in alcun modo assimilabile alle
ordinarie fiere», anche perché riceve contributi dallo Stato.
Discorso analogo per coloro che hanno dichiarato incarichi negli enti sportivi. A tutti è stato
concesso di conservare la doppia poltrona. Eppure anche in questo caso la situazione non
era così chiara. Sempre Pisicchio ha sollevato, in qualità di coordinatore, dubbi sulla posizione
di chi fa parte della giunta del Coni, un ente che riceve soldi dallo Stato, presupposto che farebbe
scattare, stando all`articolo 2 della legge 60/1953, l`incompatibilità.
Ha, invece, finito per prevalere la linea che attribuisce al comitato olimpico carattere soprattutto culturale e, come tale, fuori dal divieto.
Anche talune posizioni nei servizi pubblici locali sono state oggetto di discussione e per quanto
i parametri di decisione si siano rivelati diversi a seconda della Camera, tutti gli incarichi sono
stati ritenuti compatibili. Montecitorio ha adottato ìl criterio che se la società svolge un servizio in
più realtà territoriali, scatta l`incompatibilità, mentre se la struttura è confinata in ambito strettamente locale, il doppio incarico è consentito.
Al Senato hanno, invece, sposato la teoria per cui l`incarico in un ente pubblico è compatibile
a seconda di come si configura il rapporto tra ente e amministrazione di riferimento. Se ha natura
triadica - coinvolge, cioè, anche gli utenti, nel senso che l`ente eroga servizi al pubblico scatta
l`incompatibilità, poiché si cade nel divieto sancito dall`articolo 2 della legge 60/1953: impossibilità per i parlamentari di ricoprire posizioni in enti che gestiscono «servizi di qualunque genere per conto dello Stato o della pubblica amministrazione».
In caso contrario, si configura un mero nesso strumentale tra ente pubblico e amministrazione
di riferimento, e il divieto non sussiste. Il rapporto triadico è stato invocato, per esempio, per la posizione di Alfredo Messina in quanto consigliere di amministrazione di Mediaset. Secondo l`opposizione, Mediaset è azionista con quota di partecipazione totalitaria il 100% inRti, che è concessionaria di Rete 4, Canale 5 e Italia 1 nonché titolare di un`autorizzazione per i servizi di comunicazione elettronica a uso pubblico.
Insomma, un rapporto triadico, perché Rti si rivolge agli utenti grazie a una concessione pubblica.
È stato invece privilegiato il principio che la mera proprietà di porzioni azionarie (in tal caso,
da parte di Mediaset verso Rti) non configura l`incompatibilità.
È così Messina può continuare a sedere, oltre che a Palazzo Madama, anche nel Cda di Mediaset.
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