
I ragazzini della scuola torinese invitata ieri mattina alla seduta del Consiglio regionale piemontese hanno avuto un’insolita lezione sul funzionamento delle loro istituzioni. Dopo giorni di tensione per gli esiti dell’inchiesta di Rimborsopoli 43 consiglieri su 60 hanno ricevuto l’avviso di chiusura indagini - ieri mattina la seduta aperta dall’autodifesa del governatore del Carroccio Roberto Cota e proseguita con la diffusione delle carte dell’inchiesta sulle spese fatte con i soldi pubblici, è finita in zuffa: urla di berlusconiana memoria «Comunisti», spintoni, cadute e insulti.
Le scintille sono partite dal capogruppo dei Fratelli d’Italia Franco Maria Botta, che prima ha ritenuto di definire «topi di fogna» i giornalisti che nei giorni scorsi hanno diffuso le carte che lo riguardano - nelle sue note anche 12 mila euro spesi in una boutique del centro e rimborsati dalla Regione - e poi ha colpito il microfono della ex presidente Mercedes Bresso che stava intervenendo in aula. Quando il capogruppo del Pd Aldo Reschigna è intervenuto per difenderla, è partita la gazzarra: azione bipartisan per sedare gli animi e caduta finale. La difesa di Cota e il contrattacco («da una semplice notifica di chiusura indagini è partita una violenta campagna diffamatoria»), hanno avuto vita breve.
Nel pomeriggio le carte dell’inchiesta hanno rivelato che il governatore è stato smentito per 115 volte. È stato infatti pizzicato in luoghi diversi da quelli dichiarati, sulla base delle verifiche compiute incrociando i dati degli scontrini messi a rimborso con i suoi tabulati telefonici. Il presidente si è fatto restituire le spese per pranzi e cene a Torino mentre si trovava in Lombardia. Ha detto ai pm Giancarlo Avenati Bassi, Enrica Gabetta e all’aggiunto Andrea Beconi di non essere stato lui ad acquistare all’autogrill il dvd Fair game, mentre il suo cellulare testimoniava la sua presenza in quell’area di servizio. Tra gli acquisti che dovrà affrettarsi a spiegare se vuole evitare un processo, ci sono valigie, iPad, cravatte e penne, pacchetti di sigarette e persino spazzolino e dentifricio. Per cinque volte, alla stessa ora e a distanza di pochi minuti, ha chiesto il rimborso di cene pagate nella stessa trattoria ai Parioli. Dalle carte dell’inchiesta, 17 mila pagine, emergono ora tutti gli acquisti fantasiosi rimborsati ai consiglieri: multe, fiori, piante e profumi, lampadari, mangimi per bestiame, bambole e giocattoli, calze e mutande, borse e valigie formate, ingressi in discoteca, spese per solarium, parrucchieri e bagno turco. Migliaia di caffè, gelati, brioche e tramezzini.
Oltre al peculato c’è chi deve rispondere di truffa per aver indicato residenze fittizie per ottenere anche i rimborsi chilometrici, o fatture false per arrotondare la busta paga. I 43 hanno adesso venti giorni di tempo per scongiurare la richiesta di rinvio a giudizio. Ieri il governatore doveva partire per il Giappone per una missione istituzionale di una settimana, ma a sorpresa ha scelto di essere presente in aula per denunciare ancora una volta l’attacco mediatico a cui sono sottoposte le Regioni: «Una violenta campagna diffamatoria». A fine mattinata, dopo la rissa in aula, gli scatti dei fotografi lo hanno immortalato sconsolato con la testa fra le mani. Una brutta pagina nella vita dell’assemblea torinese che da giorni dibatte sull’ipotesi di dimissioni in massa dell’opposizione per chiudere in anticipo la legislatura. Peraltro già minata dalla sentenza della Cassazione che ha confermato l’irregolarità delle elezioni del 2010, quando Bresso perse per 9 mila voti.
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