
21/01/11
Il Foglio
“Il potere di tassare è il potere di distruggere”. C’è da riflettere su queste parole pronunciate nel 1819 dall’allora presidente della Corte suprema americana, John Marshall. Dovremmo chiederci se i benefici di nuove imposte, in un paese dove la pressione fiscale è del 43,2 per cento, siano tali da giustificare i loro costi Se lo facessimo, probabilmente l’idea di una patrimoniale per abbattere il debito pubblico incontrerebbe una resistenza maggiore. Invece, la proposta lanciata quasi provocatoriamente da Giuliano Amato sembra piuttosto raccogliere consensi. Nel giro di un paio di giorni, al club si sono iscritti il presidente di Assonime, Luigi Abete, proponendo una patrimoniale sulla ricchezza pari a 9 miliardi di euro, e indirettamente anche il ragioniere generale dello stato, Mario Canzio, che in Parlamento ha detto sibillinamente: "Le entrate una tantum andranno a riduzione del debito".
Ma l’Italia non può permettersi altre tasse. Gli effetti distorsivi di una patrimoniale sarebbero devastanti. Rischierebbe di falciare i germogli verdi della ripresa che però restano fragili: dobbiamo attirare investimenti, non spaventare gli investitori. La paura di vedere erosi i capitali li farebbe decollare verso l’estero, vanificando le ricadute benefiche dello scudo fiscale e mettendo, benzina nel motore dell’evasione. Questo non significa negare che la riduzione del debito pubblico debba essere la priorità della nostra politica economica: significa, però, sforzarsi di individuarne la causa reale, ossia l’eccesso di spesa pubblica. Non basta far tornare i conti: bisogna rilanciare la crescita, come ieri ha detto la Bce. Servono riforme, riforme e riforme.
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