
Altro che scuse. Altro che ripensamento. Un minuto dopo che la Farnesina aveva esternato all’incaricato d’affari del Kazakistan le rimostranze, tardive, del nostro Paese rispetto al gravissimo comportamento tenuto dall’ambasciatore kazako in Italia, Andrian Yelemessov, nell’affaire Shalabayeva, il ministero degli Esteri di Astana convocava il nostro ambasciatore Alberto Pieri, per criticare gli sviluppi che la vicenda aveva avuto in Italia. Critiche, non scuse. E un messaggio implicito, un avvertimento che sa di guerra diplomatica: se l’Italia dovesse decidere, come da più parti si chiede, di dichiarare l’ambasciatore Yelemessov «persona non grata», la rappresaglia scatterebbe immediatamente, con l’espulsione del nostro ambasciatore da Astana.
E questo irrigidimento kazako potrebbe riguardare soprattutto la sorte di Alma Shalabayeva, verso cui la magistratura di Astana ha aperto un procedimento giudiziario, e di sua figlia Alua, una bambina di sei anni. Si spiega così, ripetono fonti diplomatiche italiane, la linea scelta dalla Farnesina e dalla sua titolare, Emma Bonino: mettere tra parentesi l’indignazione per ciò che è accaduto, ponendosi come priorità ottenere garanzie sul trattamento riservato dalle autorità kazake alla signora Shalabayeva e alla piccola Alua. Una priorità ribadita nei giorni scorsi dal vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli alla Stampa: un’azione di rottura con i diplomatici kazaki «sarebbe stata incompatibile con la tutela superiore degli interessi della signora Shalabayeva e di sua figlia. Se avessimo adottato la politica del petto in fuori, la signora sarebbe rimasta sola in Kazakistan». Quanto all’«invasivo» ambasciatore kazako, fonti autorevoli della Farnesina, si dicono convinte che «dopo le ferie, non farà rientro in Italia». Resta, però, una conduzione complessiva del caso kazako che, a quasi due mesi dalla deportazione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, ha indebolito fortemente il credito internazionale del nostro Paese, e questo su un tema molto caro a Bonino: la difesa dei diritti umani.
Il punto è che il «basso profilo» non sembra aver presa con il regime di Nursultan Nazarbayev. E il senso di responsabilità mostrato da Emma Bonino nei confronti dei suoi colleghi di governo (Alfano) non può sconfinare in un inspiegabile silenzio, che rischia di minare la credibilità personale della ministra. Cosa che, per la sua storia e per le sue battaglie, Emma Bonino non merita. Per questo occorre chiarezza. E un gesto forte. Tanto più necessario alla luce dell’atteggiamento arrogante mantenuto dalle autorità kazake.
Gianni Vernetti, ex sottosegretario agli Esteri, non può certo essere tacciato di estremismo. Ma sulla gestione del caso Shalabayeva da parte del nostro ministero degli Esteri, va giù duro: «Se un ambasciatore straniero si fosse comportato così in un altro Paese - dice Vernetti al Foglio - lo avrebbero preso a calci nel sedere». Il fatto evidente, aggiunge, è che «c’è stato un grave vulnus nei rapporti bilaterali» tra Italia e Kazakistan. Così come non convince la mancata reazione italiana da quel primo giugno, quando risultò chiaro a tutti, di certo alla titolare della Farnesina, che quello compiuto contro la signora Shalabayeva e sua figlia era un illegale atto di «rendition». Bonino, insiste Vernetti, «era nelle condizioni per denunciare quanto avvenuto, richiamare l’ambasciatore italiano in Kazakistan, convocare l’ambasciatore kazako in Italia e anche espellerlo. Invece ci sono state settimane di silenzio».
La discrezione e il senso di responsabilità, in diplomazia, sono una «virtù», a patto di non abusarne, sconfinando in un eccesso di realpolitik o peggio di connivenza. I diritti umani non sono meno importanti degli affari, ha affermato il vice ministro Pistelli. Un’affermazione importante, nobile, impegnativa. Che non può, non deve essere infangata dalla constatazione, innegabile, che l’Italia di affari con il regime di Astana ne fa e tanti. Così come innegabili, perché esternati a più riprese, sono i legami di amicizia tra Silvio Berlusconi e Nursultan Nazarbayev. Troppi sono ancora i punti oscuri su questa vicenda. Punti politici, oltre che di diritti violati. E non può bastare, da parte del nostro ministero degli Esteri, far sapere che nei giorni scorsi il consigliere Walter Ferrara, numero due della nostra ambasciata in Kazakistan, abbia incontrato la signora Shalabayeva ad Almaty, la vecchia capitale del Kazakistan. «Era assieme alla figlia e ha piena libertà di movimento in città oltre che accesso a internet» fanno sapere dalla Farnesina. Resta il fatto che Alma Shalabayeva sia una deportata, e sua figlia Alua un ostaggio innocente. Un ostaggio di 6 anni. Resta il fatto che un ambasciatore si sia comportato da padrone nel nostro Paese e quando è stato chiamato, tardivamente, a dar conto del suo «inaudito operato» (parole del premier Enrico Letta), ha risposto sfacciatamente: «Sono in ferie». E non basta ripetere che non è il ministero degli Esteri a decidere sulle espulsioni. La politica, Emma Bonino lo sa meglio di tanti altri, si nutre anche di atti simbolici, nobilmente politici, eticamente alti. Come sarebbe quello di recarsi ad Astana. Per essere vicina, da donna, oltre che da ministra, ad una deportata e a sua figlia. Perché i riflettori non si spengano su questa triste, inqualificabile, vicenda.
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