
Nella irreversibilità della guerra siriana, che porterà alla caduta del regime alawita, urge un intervento umanitario, e prepararsi subito per la ricostruzione, economica e istituzionale. Laurent Fabius e Giulio Terzi di Sant’Agata hanno scritto al loro omologo europeo, Lady Ashton, una lettera perché la Ue si impegni da subito per la Siria. La missiva, che sarà resa pubblica solo dopodomani al «Gymnich» di Cipro, punta anche a che l’Europa si presenti con una posizione forte, e comune, alla riunione dei ministri degli Esteri che si terrà in settembre a New York, ai margini dell’annuale assemblea generale dell’Onu.
Se ne è parlato anche nell’incontro Monti-Hollande di ieri a Roma. E significativamente il capo dell’Eliseo ha poi dichiarato che «occorre insediare un governo alternativo al clan Assad»: ci si prepara al dopo-Assad, mentre sempre ieri l’opposizione presente in Siria, costituita nel Cns, ha indetto per il 12 settembre a Damasco una «conferenza per la salvezza della Siria».
Italiani e francesi prendono l’iniziativa perché si teme, da un lato, il contagio regionale della guerra in un paese, la Siria, che è centro di gravità tra Turchia, Libano, Iraq, Israele, Giordania, Territori Palestinesi. Paesi tutti sotto la pressione dei siriani in fuga, e di una guerra che può essere il detonatore per storiche rivalità tra sciiti e sunniti, curdi e turchi: il Libano è già coinvolto dalla crisi di Damasco, l’Iraq è sotto tensione per la questione del Kurdistan. Per avere un’idea della destabilizzazione che il crollo del regime alawita porta, basti pensare che scontri tra sostenitori di Damasco e sunniti sono avvenuti perfino a Tripoli, nel Nord del Libano. Anche per questo, ieri il capo della diplomazia italiana Giulio Terzi è partito per una missione che in pochi giorni toccherà Gerusalemme, Ramallah, Il Cairo, per l’appunto Cipro dove si terrà l’annuale riunione «Gymnich» dei ministri degli Esteri europei, per poi planare a Torino, dove Terzi vedrà a Ban Ki-moon.
Sulla Siria, il lavoro preparatorio si è svolto nelle riunioni del «core group» internazionale guidate dall’inviato speciale della Farnesina per il Medio Oriente, l’ambasciatore Maurizio Massari. Come si è sancito poi nel meeting finale presieduto da Terzi due giorni fa, la valutazione è che il regime alawita è destinato a cadere. Nessuna ipotesi è possibile sui tempi e modi, ma il controllo da parte dell’opposizione di parte del territorio siriano e le defezioni sia militari che politiche segnano l’irreversibilità del processo in atto e l’impossibilità del ritorno di uno status quo ante dopo una guerra che dura ormai da 18 mesi. Ieri, l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha comunicato che i morti dal marzo 2011 ad oggi sono stati 26.283, e di questi 18.695 sono civili.
Nelle riunioni alla Farnesina, secondo alcune fonti diplomatiche, si sarebbe anche discussa l’eventualità di una soluzione «libica», ovvero la no-fly zone che pure l’opposizione siriana a suo tempo chiedeva. Ma, a parte che nella fase attuale di guerra in tutto il territorio si metterebbero a rischio le popolazioni, sarebbe stata la Turchia a opporsi. Il perché è facile comprenderlo: Ankara teme il saldarsi degli autonomisti curdi presenti sul proprio territorio con i curdi siriani e con quelli iracheni, e le sue frontiere sono già sotto pressione dei siriani in fuga dalla guerra.
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