
Appena annunciata, la data della nuova conferenza di pace per la Siria è già in dubbio. Il segretario della Lega Araba, Nabil el-Araby, ha detto ieri che l’incontro si aprirà a Ginevra il 23 novembre, ma l’inviato Onu Lakhdar Brahimi ha frenato. Prima di confermare l’appuntamento servono altre consultazioni, e soprattutto bisogna garantire che ci sia «una presenza credibile dell’opposizione», al momento contraria a partecipare. La spinta per riprendere il dialogo politico, quella «Ginevra 2» invocata già nella primavera scorsa, è ripresa dopo l’attacco chimico di agosto e il successivo accordo per il disarmo di Damasco. Il primo problema, però, è capire chi può partecipare. Il regime sarà protagonista, ma finora ha rifiutato una transizione che non preveda la permanenza di Assad al potere. Sta prevalendo sul campo, e Bashar vuole restare almeno fino alla primavera del 2014, quando ci saranno le elezioni. Conta di vincerle bene, per rivendicare il diritto a non lasciare. L’opposizione vuole evitare che il negoziato si trasformi nella legittimazione di Assad, e quindi insiste sulla precedente dichiarazione di Ginevra, che prevedeva una transizione senza Bashar.
Il problema dei ribelli, però, è la divisione: i servizi segreti internazionali calcolano l’esistenza di circa duecento gruppi diversi, e rimane quindi difficile capire chi può sedersi al tavolo. Il Free Syrian Army, che all’inizio del conflitto aveva circa 80.000 soldati e sembrava l’ombrello più credibile, ha perso circa metà dei suoi uomini e molta presa politica, per le difficoltà incontrate nella gestione dei territori liberati. Al suo posto sono saliti i gruppi islamici, che vanno dai più moderati, come il Fronte Islamico di Liberazione della Siria, ai più radicali, come il Fronte Islamico Siriano, Jabhat al-Nusra e lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Spesso questi gruppi si combattono tra di loro. Domani il segretario di Stato Kerry parteciperà ad un incontro degli «Amici della Siria» a Londra, nella speranza di chiarire la situazione. Il terzo problema sono gli stati che hanno influenzato il conflitto. L’Iran non ha accettato una transizione che preveda l’uscita di scena di Assad, mentre l’Arabia Saudita ha rinunciato al seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per protestare il mancato appoggio internazionale degli oppositori di Damasco.
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