
20/09/10
Il Corriere Adriatico
Il documento con cui Veltroni, Fioroni e Gentiloni hanno attaccato l’attuale dirigenza del Partito democratico, definendola priva di coraggio e incapace di dare un orientamento certo al partito, ha ottenuto un consenso più largo del previsto. 75 parlamentari del PD(su 319) l’hanno sottoscritto, avallando un’operazione che l’attuale leadership democratica ritiene un vero e proprio regalo fatto al centro-destra in difficoltà sotto i colpi delle polemiche dei finiani. Qualcuno, anzi, in modo affrettato e superficiale, ha voluto vedere un’analogia tra l’intervento critico di Veltroni nei confronti di Bersani e D’Alema e il duro attacco di Fini a Berlusconi. In realtà il paragone sarebbe fuorviante. Nel caso del conflitto all’interno del centro-destra si tratta di un posizionamento preventivo di uno dei due co-fondatori del Pdl, ben deciso a non farsi travolgere dal futuro declino di Berlusconi (tuttavia ancora ben in sella e leader indiscusso) e soprattutto a prendere le distanze dalla Lega, la cui presenza nell’attuale maggioranza è dettata da motivi strumentali ad un obiettivo, la federazione, e non certo ad una comune visione strategica del progetto politico. Veltroni, invece, attacca una leadership debole che però è tale in quanto riflesso di un partito incapace di risollevarsi anche di fronte ad un avversario in difficoltà.
Tale impotenza però non è attribuibile alle carenze di questo o quel segretario ma alle difficoltà più generali del PD a presentarsi come un partito capace di coagulare nuove energie ed entusiasmi. Non c’è leadership, per quanto impegnata e motivata, che tenga: il partito, chiunque lo diriga (come lo stesso Veltroni ha avuto modo di sperimentare in prima persona non molto tempo fa), è destinato a languire per ragioni che hanno a che fare con le logiche profonde che regolano la vita e la forza delle grandi organizzazioni di massa nella storia del nostro Paese. Il PD è infatti il risultato emerso dalla fusione di due grandi tradizioni della storia politica di questo Paese: la comunista e la sinistra cattolica. Un oggetto percepito come artificioso, soprattutto perché è apparso a molti una sorta di rifugio per settori della classe politica ex comunista che non avevano pagato alcun biglietto per approdare sulle sponde della tradizione liberal-democratica. Il Pd tuttavia, al di là della sua origine, si presenta oggi come fautore di un programma ragionevole e senza accenti populistici, latore di una proposta politica priva di miti, di progetti palingenetici di rinascite e rifondazioni, di nemici da odiare. Un programma razionale di una forza che si identifica con la costituzione e la legge, difende il politicamente corretto e il buon senso, non stimola l’estremismo, non ha grandi scenari da proporre ai giovani né grandi vendette da suggerire ai vecchi. Chi sceglie dunque di militare o, almeno, in seconda battuta, di votare per un partito che non scalda i cuori, in una società cresciuta a slogan e demagogie?
Il basso profilo però per funzionare non doveva essere interpretato come scarso coraggio. Non c’è settore strategico, di quelli cioè che guardano al futuro (informazione, scuola, cultura, ricerca) in cui il partito democratico possa dire di avere avuto una politica radicalmente alternativa a quella dell’attuale maggioranza. Troppa timidezza, troppa subalternità alle logiche di scambio con cui cercare di creare le premesse sociali e politiche di un grande centro da sottrarre alla destra. Il risultato è stato che il Pd può spesso essere chiamato come correo delle scelte e delle logiche portate avanti oggi dal centro-destra: pensiamo al confitto d’interessi, alla riforma scolastica Berlinguer, alla sfiducia nella ricerca. In nessuno di questi ambiti, decisivi per attirare i giovani e dare profondità progettuale alla propria politica, il Pd può dire di non aver agevolato le attuali linee di condotta del centro-destra. Per questo la scena dei leader che si accapigliano è un divertente spettacolo che può distrarre per un po’ la base residua del partito ma sono solo la proiezione dei titoli di coda e non certo l’inizio di un’altra storia.
© 2010 Il Corriere Adriatico. Tutti i diritti riservati