
“Hanno bruciato tutto ciò che facciamo. L'editoriale pubblicato non era contro i musulmani, né contro nessuno, ma solo un modo per dire che siamo in grado di ridere di qualsiasi cosa. Questa è la migliore prova della libertà e della democrazia". L'attonito giornalista di "Charlie Hebdo". Patrick Pelloux, è a suo modo un idealista. Non crede nello "scontro di civiltà" e si rifiuta di prendere sul serio i barbuti islamisti che stanno affliggendo l'Europa, il Magreb, il Medio Oriente, il Caucaso e un po' ovunque il mondo di religione islamica e non. Quando il settimanale satirico aveva pubblicato l'innocua vignetta in cui uno stilizzato Maometto invitava tutti a ridere della vittoria della shar'ia in Libia o di "Ennahda" in Tunisia, mai e poi mai avrebbe immaginato che qualche "pazzo" teleguidato sarebbe giunto fino a dar fuoco alla loro redazione. E mal gliene è incolto. Fra l'altro è stato hackerato anche anche il sito web del settimanale. E il direttore ha pure dichiarato di aver ricevuto minacce precedenti su Facebook e Twitter. Facebook poi in questo caso ha fatto veramente una pessima figura: i collaboratori di Mark Zuckerberg per la Francia, basandosi sulle denunce contro il settimanale satirico da parte degli estremisti islamici hanno deciso di cancellare la pagina dei fan del "Charlie Hebdo", così per quieto vivere. E magari per non dovere temere anche loro qualche reazione inconsulta da parte dell'Islam "non moderato". C'è da dire che a condannare l'attentato tra i primi è stato proprio il leader musulmano e presidente del Consiglio francese del culto islamico (Cfcm), Mohammed Moussaoui.
Peraltro, questa storia dell'improvvisa suscettibilità di qualche gruppo di estremisti salafiti sembra un po' tarata sulla falsariga di un cliché. "Charlie Hebdo" che nel 2001 aveva lodato "La rabbia e l'orgoglio" della Fallaci, non era molto amato neanche dai cattolici integralisti per le sue campagne a base di satira e bestemmie. Inoltre potrebbero avere dato fastidio a qualcuno, in Libia o in Tunisia, le sue recenti campagne contro l'islamizzazione delle rivoluzioni arabe e contro la politica commista alla religione. Prima delle elezioni su "Charlie Hebdo" erano stati pubblicati alcuni reportage sulla Libia islamizzata dai ribelli anti-Gheddafi e sulla Tunisia di Ghannouchi. Sicuramente non elogiativi e, anzi, così sarcastici da arrivare a giustificare quel titolo con gioco di parole, "Charia Hebdo", e quella vignetta, Maometto, che invita tutti a ridere: pena 100 frustate. Cosa che nella mente dei fondamentalisti fa urlare alla blasfemia e al sacrilegio. 'Blasfemia" peraltro rivendicata in un manifesto sottoscritto il 4 novembre da una serie di intellettuali di sinistra, guidati dal gruppo di "Libération", e da tanti immigrati arabi e illustri cittadini francesi che, pur se di religione musulmana o reduci della ex sinistra rivoluzionaria degli anni '60 e 70, non sono voluti passare per difensori o giustificatori degli atti terroristici dell'Islam politico.
Personalità della sinistra francese e dell'intellighentia nordafricana come Abdat Ameziane (presidente di "Zy Va"), Mohammed Abdi, Lionnel Abelanski (attore teatrale), Benjamin Aabrn, Francois Alfonsi (deputato europeo), Jean-Francois Amadieu (professore universitario), Fadela Amara (ex ministro), Guy Arcizet (Gran Maestro del Grande oriente di Francia), Pierre Arditi (attore), Martine Aubry (primo segretario del partito socialista), Hugues Aufray (artista), Yves Azeroual (giornalista), Josiane Balasko (attore), Jean-Michel Baylet (presidente del PRG), JeanLouis Bass (giornalista), Julien Bayou (consigliere regionale), Souad Belhaddad (giornalista ), Sandrine Belier (deputato europeo), Malika Benarab-Attou (deputato europeo), Ghaleb Bencheike (teologo islamico), Djamel Bensalah (regista), Pierre Bergé (presidente de la Fondation Pierre Bergé - Yves Saint Laurent), Philippe Bergovici (designer), Luc Berille (segretario generale dell'Unsa), Charles Berling (attore), Jean-Paul Besset (deputato europeo), Martine Billard (deputato di Parigi), Jean-Louis Borloo (presidente del partito radicale), Michel Boujenah (umorista), José Bové (deputato europeo), Colombe Brossel (vicesindaco di Parigi), JeanYves Camus (politologo) e tanti altri ancora, hanno firmato un appello contro l'intolleranza religiosa, tarato sull'islam, che in Italia nessuno avrebbe osato sottoscrivere.
Tanto meno nel milieu della sinistra nostrana.
Eccolo in sintesi: "il fondamentalismo religioso ha mostrato esplicita nelle ultime settimane a che punto arrivano i nemici di tre battaglie che abbiamo fatto nostre. La prima è quella per la democrazia, non dissociabile dal diritto assoluto alla blasfemia, vale a dire, diritto di criticare i dogmi sacri; la seconda è la battaglia per la laicità che non può sposarsi con la divisione dello spazio pubblico tra tanti dogmi diversi ma, al contrario, richiede il rifiuto di vedere la religione manipolata per scopi politici e, infine, la terza è la lotta per la convivenza, incompatibile con la guerra per convertire l'altro o l'ordinare a chicchessia di unirsi a comunità religiose chiuse che vivono in odio l'un l'altra e tutte contro l'ateismo-. Avrebbero mai firmato un appello del genere, cui è seguita una bella manifestazione di solidarietà (tenutasi domenica a Parigi davanti al municipio) al settimanale satirico, sicuramente non molto omologo alle loro idee, uomini come quelli della sinistra italiana, convinti che il burqa o la poligamia o il picchiare le donne in casa siano diritti inalienabili degli islamici? E quello di reagire violentemente alle vignette su Maometto pure?
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