
22/03/11
Secolo d'Italia
È vero che destra e sinistra si stanno scambiando i ruoli nelle reazioni a questo nuovo fronte di guerra. Lo ha scritto Pierluigi Battista e ne ha scritto opportunamente, facendo però notare che Sarkozy e Cameron non sono proprio di sinistra... E tuttavia è in casa nostra che i dilemmi si sciolgono con l'accetta dei sì e dei no e non c'è dubbio che sul primo fronte troviamo la sinistra e sul secondo la destra di matrice leghista e berlusconiana, la stessa che applaudiva le operazioni di guerra quando esse si svolgevano in paesi lontani come l'Iraq e come l'Afghanistan. L'elemento è di un certo interesse, perché aiuta a capire che certe formule rispondono ormai solo ad umori disaggregati dai dati culturali e ideologici di riferimento ma anche perché dimostra che ci sono "altre" destre rispetto a quella oggi dominante grazie alla grancassa mediatica del premier. La destra finiana, ad esempio, ritiene che l'intervento sia un fatto inevitabile di realpolitik. Ci si doveva e ci si poteva arrivare meglio, ma l'Italia non poteva tirarsi indietro. Ma quali sono le ragioni del neutralismo di una certa destra quando c'è da abbattere non il tiranno Saddam ma quello che risponde al nome di Gheddafi? Intanto c'è una preferenza smaccata per Bush, confessata con veemenza da Giuliano Ferrara nel suo editoriale di domenica su il Giornale: «Con il guerrafondaio Bush a un mese dall'11 settembre il regime talebano protettore di Osama Bin Laden non esisteva più... Con Obama l'umanitario l'Occidente brancola nel buio e si imbarca in un'impresa politicamente dubbia, piena di ambiguità».
A parte il fatto che ci sembra che l'Afghanistan non sia proprio un territorio "pacificato" nonostante la tempestività di Bush, c'è poi un altro fattore di diffidenza nei confronti dell'intervento in Libia che merita di essere sottolineato e cioè il presunto pericolo che le rivolte nel Maghreb possano essere il predellino di lancio di un nuovo fondamentalismo islamico. Un dato smentito però dai tanti osservatori che hanno sottolineato il carattere laico delle ribellioni che si sono susseguite nel Nord dell'Africa fino a coinvolgere anche la Libia. Si tratterebbe, dunque, di piazze che reclamano diritti e che non sono ostili ai paesi occidentali. Eppure il neutralismo di destra fa leva anche su questo argomento, ripreso ieri da Vittorio Feltri nel suo editoriale su Libero, dal titolo "Guerra da matti": «Dei ribelli - scrive - si sa poco o nulla. Si sa però che tra loro c'è una parte preponderante di fondamentalisti islamici, presumibilmente collegati al terrorismo, le cui prodezze sono abbastanza note. L'ipotesi dunque è che si faccia il gioco di gente che, conquistato il potere grazie al nostro sostegno, lo userà contro di noi. Una vera follia». Dunque, per Feltri, Gheddafi non va "stecchito". Allo stesso argomento si richiama Alfredo Mantovano, sottosegretario Pdl che difende il raìs in quanto dopo di lui potrebbero arrivare colonnelli anche peggiori. Mantovano per spiegare il suo pensiero, nettamente distante da quello di La Russa, si richiama all'apologo della vecchietta di Siracusa: «La vecchietta pregava per il tiranno. E a chi le chiedeva perché, rispondeva: perché sicuramente quello che viene dopo sarà peggio». Pieno di dubbi è anche Marcello Veneziani, per il quale il paese cui conviene meno di tutti il bombardamento su Tripoli è proprio l'Italia: «Sbaglierò - scrive ma questa guerra alla Libia non mi piace. Non mi sento di condannare le perplessità della Lega ma anche la prudenza iniziale di Obama e della Merkel». E ancora Mario Ajello, sul Messaggero, riporta le sdegnate reazioni della base pidiellina registrate sui siti di partito annotando che le argomentazioni sembrano quelle di pacifisti come Dario Fo e Franca Rame. Poi ci sono le argomentazioni leghiste, esemplificate dall'espressione di Bossi secondo cui noi italiani in cambio di questo intervento avremo solo un'ondata di profughi ingestibile. E qui, dalla realpolitik passiamo al realismo spicciolo, con un occhio anche alle imminenti amministrative in cui la Lega non rinuncerà ad utilizzare la carta propagandistica dell'immigrazione clandestina. Ma l'argomento fa breccia nella base Pdl che sul web si scatena invitando Berlusconi a respingere chi «sbarca sulle nostre coste».
Sull'altro fronte le bandiere pacifiste e arcobaleno sono rientrate nei cassetti. Solo i comunisti italiani, per bocca di Marco Rizzo, tuonano contro «l'Italietta di Berlusconi e D'Alema che va alla guerra imperialista di Europa e Usa per il petrolio». Lo stesso Massimo D'Alema al Tg3 di domenica ha spiegato che non c'erano alternative all'intervento armato. «Qual era l'alternativa? - si è chiesto D'Alema - lasciare che Gheddafi bombardasse le persone non era tollerabile». D'Alema ha sottolineato che non si può dire che la guerra sia iniziata ora: «C'era già in corso una guerra contro una parte del popolo libico». L'intervento, ha detto ancora, «non è stato fatto per sconfiggere Gheddafi», ma per proteggere quella gente, ora «siamo di fronte a una situazione delicata in cui bisogna agire con fermezza nell'ambito delle Nazioni Unite». E ieri sull'Unità Concita De Gregorio difendeva con toni appassionati le ragioni dell'interventismo spiegando che la sinistra non può fare altro che dire sì quando «le vittime della dittatura hanno aperto i cancelli e sono in piazza sotto le bombe a dirci aiutateci». Che altro dovremmo fare si chiede la De Gregorio - «parlargli di principi mentre il despota li massacra, rimboccarci le coperte e andare a letto?».
E se il Pd appare massicciamente impegnato a tutela dell'operazione anti-Gheddafi avallata dall'Onu, chi si dissocia in quell'area è Nichi Vendola, che ha chiesto un immediato cessate il fuoco facendo irritare i Radicali che accusano il leader di Sel di trovarsi a braccetto con la Lega Nord: «Lega e Sel - osserva Silvio Viale, presidente dei Radicali italiani - stanno nello stesso barcone solo perché continuano a pensare che il Colonnello Gheddafi sia l'unico interlocutore. Si affrettano a dichiarare di non avergli mai baciato l'anello, ma entrambi dimostrano di preferire i dittatori alle svolte democratiche». E così, tra gli effetti della guerra con la Libia, c'è anche quello di far saltare definitivamente le categorie del passato, rendendo forse impossibile in futuro una ricomposizione ordinata di ciò che sarebbe ascrivibile alla destra e di ciò che risulterebbe genuinamente di marca progressista.
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