
E IL CAV TUONÒ: «GIANFRANCOOO»
Il botta e risposta dà la sveglia al presidente della Camera: piglio più deciso e polsini lasciati in pace, il fuoco di fila ingrana. Partito: onde scongiurare «il centralismo carismatico» bisogna «organizzare un’area politico-culturale» dato che «il PdL ha perso un po’ di smalto». Regionali: «Credi davvero che la lista a Roma non sia stata ammessa per un gruppo di magistrati?» (Berlusconi prima scuote la testa, poi fa un gesto con le mani, come a dire: poca sostanza).
Bossi: «Al Nord siamo diventati la fotocopia della Lega». Immigrazione: «Ve lo dico con il cuore in mano, serve dignità». Programma di governo: «E stato scritto prima della crisi, ora va rimodulato».Federalismo:
«Non va fatto ad ogni costo, ma con antidoti culturali». Sicilia: «Ci sono due partiti: il PdL e il PdL Sicilia, guidato da Miccichè che è un uomo del governo Berlusconi». Unità d’Italia, persino: «Tremonti trova risorse per la Lega, le trovi pure per le celebrazioni dei 150 anni». E qui scatta il secondo battibecco, col premier che si inalbera: «Ma su questo stiamo lavorando ogni giorno!». Fini non fa una piega, e sgancia il pezzo da otto: «Non possiamo dare l’impressione che la ri forma della giustizia possa apparire come impunità».
Per Berlusconi è troppo: «Gianfrancooo», si fa scappare il premier mentre in platea si rumoreggia. Fini tira dritto: prima rivendicala «diversità culturale» della propria area, poi va a riesumare la prescrizione breve come «amnistia mascherata». Fine del primo round. Una stretta di mano di rara stentatezza e Finiva rimettersi in platea. Berlusconi si posiziona dietro i microfoni. E - le quattordici passate da poco - partono le cannonate. «Mi sembra di sognare», esordisce Berlusconi. Va bene discutere, ci mancherebbe, solo che «a me non è mai venuta una richiesta su temi come quelli che ho sentito adesso. Né da uomini di An né da La Russa». Detto questo, vai col tango: «Il nostro partito è stato esposto al pubblico ludibrio da presenze in tv di Bocchino, Urso e Raisi». Boato. «Prendo atto con piacere che Gianfranco ha cambiato posizione». Boatissimo. Fini la prende male: scatta in piedi e, indice puntato verso il premier, si fa sotto il palco. Una roba che non si vedeva dai congressi della Dc. Il Cav raccoglie la sfida: «Gianfranco,parliamoci chiaro. Sono venuto da te martedì e davanti a Gianni Letta mi hai detto: primo, sono pentito di avere collaborato a fondare il PdL; secondo, voglio fare un gruppo parlamentare diviso». A Fini che rivendica di avergli parlato anche della Sicilia (deve stargli a cuore), il premier replica che «nel PdL Sicilia ci sono otto uomini tuoi».
Nel mezzo della baruffa sicula, da ultimo, va registrato un «se mi consenti» che scappa a Berlusconi ed è poesia pura. Poi c’è il capitolo Unità d’Italia, con Berlusconi ad elencare gli impegni del governo per «i 150 anni della nostra repubblica» (e pazienza). Ci scappa anche l’applauso a Ciampi, dimissionario per motivi di salute dal comitato delle celebrazioni.
IL GRAN FINALE
Poi sembra che arrivi l’appeasement, con Berlusconi che, di punto in bianco, giudica «ottima» l’idea finiana di una commissione sui decreti attuativi del federalismo. Toni concilianti anche sulla Lega, (che,
stoccatina, «ha fatto proprie le idee di An sull’immigrazione») cui va riconosciuto il merito di «lavorare sul territorio anche sabato e domenica». Da qui la necessità «di far capire anche ai nostri dirigenti che sabato e domenica non sono vacanza». Pacatezza sulle Province: «Abolire quelle non metropolitane farebbe risparmiare troppo poco». E a questo punto uno avrebbe quasi voglia di sperimentare del sollievo, di dirsi che forse è finita. Niente: un respiro, e Silvio ri parte. Media: detto che «non parlo col direttore del Giornale», il premier fa sapere che la testata è in vendita: «Se un imprenditore vicino a te vuole entrarci, può farlo». Coda velenosetta: «Comunque, il più critico nei tuoi confronti è Libero, che appartiene ad un deputato venuto da An, Angelucci, che è tuo amico». Da qui in poi è un crescendo wagneriano. «Non mi sembra che le questioni che hai sollevato abbiano grande importanza. Valeva la pena, come presidente della Camera, di fare contrappunto quasi quotidiano con dichiarazioni che non si convengono a chi rappresenta un’istituzione? Queste cose diciamocele tra di noi, facciamo le riunioni. Ma tu alle riunioni non hai mai partecipato, non sei venuto nemmeno a piazza San Giovanni». Fini si agita, risponde qualcosa, ma ormai il climax e lì a un passo. E Silvio lo infila plasticamente: «Io intendo che un presidente della Camera non possa fare l’attività dell’uomo politico. Vuoi farlo? Ti accogliamo a braccia aperte, ma da uomo politico e non da presidente della Camera». Bum. Fini si alza e torna sotto il palco: «Che fai, mi cacci?», fa al premier accompagnandosi con la mano destra.
«Devo pensarci», replica gelido il Cavaliere, lontano dal microfono. Intanto si sono fatte le due e mezza, di tempo per pranzare ne resta poco e tutti si alzano con una certa solerzia. E sull’auditorium della Conciliazione - nientemeno - cala il silenzio.
© 2010 Libero. Tutti i diritti riservati