
22/12/10
La stampa
Succede di tutto in un’aula del Senato che deve licenziare di corsa la riforma Gelmini e teme un altro assedio degli studenti, pronti a invadere di nuovo le strade della Capitale. Succede che la presidente di turno, Rosi Mauro, ribattezzata affettuosamente dai leghisti «la zarina del cerchio magico», metta in votazione per alzata di mano una serie di emendamenti, mentre è concentrata a schivare un lancio di oggetti vari dai banchi di opposizione. Effetto di una bagarre provocata dalla scoperta degli astanti che il testo in esame non è stato coordinato dagli uffici della Camera. E quindi la riforma presenta una serie di incongruenze che andrebbero sanate, visto ad esempio che l’articolo 6 modifica una norma del 2005 e il 29 la abroga del tutto.
Succede dunque che la leghista di ferro dopo aver trasmesso all’aula le «incongruenze» notate dagli uffici, invece di sospendere la seduta per le proteste, vada avanti come un treno, «chi è favorevole, chi è contrario, approvato, respinto». E che nella foga di decisionismo sbagli la proclamazione di alcune di quelle quindici scivolose votazioni ad alzata di mano: dichiarando approvati tre emendamenti di fatto respinti, tra i quali uno del Pd Vincenzo Vita sui professori aggregati. Ma la forma nelle istituzioni è sostanza, e a quel punto esplode una tempesta che soffia fino al Colle più alto. Perché, come dirà un’ora dopo Rutelli, può divenire un precedente pericoloso che un emendamento dell’opposizione proclamato come accolto «possa dalla stessa maggioranza essere dichiarato respinto con un’altra votazione...». Insomma un caos totale, con tratti di irresistibile parossismo, perché quella che nelle intenzioni doveva essere un’azione militare per chiudere la delicata partita al Senato senza intoppi, nei fatti si trasforma in un assist magnifico per le opposizioni. Felici di inchiodare ministri, senatori e sottosegretari per tre ore a discettare di regolamenti e cavilli, rinviando così il momento magico di «liberazione» da questa riforma controversa. E il caos dovuto a quelle che l’Udc D’Alia definisce «le incaute proclamazioni» della presidente di turno, potrebbe comportare il grave vulnus di un ritorno in quarta lettura alla Camera sotto Natale e con il calendario già chiuso. Se poi si fa notare al vicecapogruppo Pdl Quagliariello che con la spada di Damocle di un’altra giornata campale di scontri in piazza sarebbe stato meglio per tutti fare presto, non stupisce che lui risponda, «e lo dite a me? Non doveva forzare la mano».
Succede pertanto che il presidente Schifani avochi la questione a sé e tenti una mediazione, abbracciando come un regalo insperato la richiesta dei capigruppo di opposizione di far rivotare gli emendamenti contestati in base all’articolo 118 del regolamento. Ma il diavolo ci mette lo zampino e gli inconsapevoli capigruppo di Pd e Idv, grazie ad una diretta di Radio Radicale e a You Tube, scoprono che tre di quegli emendamenti sono stati proclamati come accolti. E quindi solo a quel punto, sostiene Quagliariello, «si irrigidiscono», chiedendo di rispettare quei voti galeotti che costringerebbero la legge a tornare indietro a Montecitorio. La situazione precipita e fioccano i retroscena di presunte telefonate allarmate dal Quirinale, preoccupato non poco per il rischio di dover rinviare alle Camere un testo così scombinato, che va però approvato entro dicembre per poter dare i finanziamenti all’università il prossimo anno. Succede poi che Pd-Idv respingano la proposta di Schifani di rivotare, che Fli-Udc la appoggino. Che il presidente difenda la sua buona fede dicendo che se avesse saputo l’esito di quel voto avrebbe avuto un dubbio di coscienza ad applicare l’articolo 118. Che la Gelmini annunci la volontà del governo di sanare le incongruenze nel decreto milleproroghe oggi varato dal consiglio dei ministri. E che infine gli emendamenti sub judice vengano votati e respinti dall’aula.
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