
07/09/10
Il Riformista
Al di là del regolamento di conti personali con Berlusconi, la proposta più forte avanzata da Fini nell'ormai famoso discorso di Mirabello è quella di tornare a riformare la legge elettorale. Una legge - il Porcellum - che Fini s'è pentito di aver contribuito ad approvare. Di modo che, dopo il suo pronunciamento, esiste ormai una maggioranza, sia pure numerica, decisa a cambiare la legge. Sul piano delle ipotesi insomma, nel caso in cui la convivenza della fragile maggioranza di centrodestra dovesse rivelarsi impossibile, Fini ha inteso avvertire Berlusconi che, prima di andare alle elezioni anticipate si dovrebbe cambiare di nuovo il sistema di voto. E che, in caso di contrarietà del premier a questa ipotesi, ci sarebbe la possibilità di dar vita a un governo d'emergenza, incaricato anche solo di far approvare la riforma elettorale.
Un obiettivo così preciso e limitato potrebbe forse giustificare la nascita di un esecutivo sostenuto da una maggioranza assai variegata, e unita in realtà solo dall'antiberlusconismo. Che poi questo stesso governo sia in grado di mettere insieme un testo condiviso per la nuova legge elettorale, è tutto da vedere. E per capire quali sarebbero le difficoltà, basta solo passare in rassegna le diverse posizioni presenti dentro e fuori il Parlamento. L'unico punto su cui si percepisce un diffuso scontento riguarda le liste bloccate, che danno ai capipartito un potere di investitura, consentendogli di scegliere prima delle elezioni chi fare eleggere e chi no, e trasformando di conseguenza gli eletti in nominati. In verità questo sistema era già stato introdotto dal Mattarellum per la quota proporzionale, da cui proveniva un quarto dei deputati e senatori.
Ma allora la battaglia era quasi tutta concentrata sui collegi uninominali, e la scelta dei candidati doveva avvenire in funzione del rapporto diretto con gli elettori, che votavano spesso la persona più che il partito d'appartenenza. Ora invece il voto è tornato a essere proporzionale, il premio di maggioranza consente a chi ha raccolto il consenso di poco più di un quarto degli elettori di controllare le Camere. Solo il fatto che al Senato il premio, anzi i premi, vengono assegnati su base regionale, lascia un margine di incertezza. Altrimenti, il partito a vocazione maggioritaria che vince, pur non essendo realmente maggioritario, dato che non si avvicina neppure al cinquanta per cento dei voti, lo diventa grazie al meccanismo che trasforma, appunto, la minoranza in maggioranza. E che ha consentito alla coalizione Pdl-Lega di aggiudicarsi la grande vittoria nel 2008. Va da sé che qualsiasi trasformazione della legge metterebbe a rischio il destino di Berlusconi e del suo alleato nordista. Ma quale potrebbe essere il nocciolo condiviso di un'eventuale riforma?
Qui il discorso si fa più difficile. Considerato che il Cavaliere e il Senatur si schiererebbero in difesa della legge attuale (ma per il secondo, non c'è da metterci la mano sul fuoco, stando alla vocazione proporzionalista del Carroccio), tutti gli altri inseguono ciascuno un progetto differente. C'è pure il caso, come nel Pd, che i progetti siano più d'uno. In fondo, ha ricordato di recente l'ex presidente Scalfaro, rispetto al Porcelum ci fu una certa disattenzione del centrosinistra. Ed è vero che Veltroni, allora come oggi, resta legato allo schema di uno scontro bipartitico più che bipolare, come avvenne in sostanza nel 2008.
D'Alema, al contrario, insiste per un recupero del sistema tedesco, che favorendo la nascita di un terzo polo spingerebbe Casini ad allearsi con il centrosinistra. E Rosi Bindi, presidente del Pd, teorizza un accordo pieno anche con Fini, fondato sulla necessità di battere Berlusconi. Quale sia la sua preferenza in materia elettorale, Fini non lo ha detto. S'è limitato a ripetere che è un'indecenza che gli elettori non possano sceglierei parlamentari. Se questo debba considerarsi come un'apertura al recupero delle preferenze, abolite per referendum nel 1991 e care a Casini, non è chiaro. Quel che è certo è che il presidente della Camera è, e rimane, un convinto bipolarista.
I centristi, Casini e Rutelli in testa, sono proporzionalisti, Accanto a Rutelli, poi, c'è Tabacci, che vorrebbe tornare a un premier scelto dopo il voto e che ottiene il mandato, oltre che la fiducia, dal Parlamento, stile Prima Repubblica. Proporzionaliste sono anche le diverse anime della sinistra radicale, escluse dalle Camere grazie allo sbarramento del 4 per cento previsto dal Porcellum. In caso di riforma, per quel che può contare la loro pressione fuori dal Parlamento, tenterebbero di cancellare o almeno di ridurre lo sbarramento. A completare una rassegna di posizioni assai frastagliata, c'è l'iniziativa dei radicali e di Pietro Ichino, che hanno raccolto molte adesioni bipartisan, a favore di un ritorno all'uninominale. Ichino, sollecitato da Giovanni Sartori, ha risposto che non avrebbe pregiudiziali sull'introduzione di un sistema uninominale maggioritario anche a doppio turno. Un panorama così composto fa pensare a una specie di supermarket delle riforme. E soprattutto, fa temere che sia difficile trovare un minimo comune denominatore su un terreno sul quale ognuno tende a cercare le proprie convenienze più che le convergenze possibili.
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