
23/12/10
L'Unità
Plurale non è una regola. Non una questione di numero. Ma sovvertendo la grammatica, plurale è una questione di genere. Un genere diverso che incarna, oggi, solo il Partito Democratico. Solo il Pd è un partito plurale con anime pensanti e parlanti. Con parole che acquistano potere dall’espressione individuale, dall’ascolto corale, dalla sintesi condivisa. Al contrario dei movimenti e delle organizzazioni, espressione unica della voce solitaria del padrone. Berlusconi è l’anticipatore di un fenomeno che un re del pensiero libero, come Giorgio Gaber, aveva sintetizzato agli albori della discesa in campo del cavaliere: «Non ho paura di Berlusconi in sé, ho paura di Berlusconi in me». L’incarnazione di una realtà inesistente che si è introdotta come un virus in tutte le formazioni che parlano con un solo tono: Di Pietro per l’Idv, Vendola per Sinistra ecologia e libertà, Pannella per i radicali, Storace con La Destra, Casini con l’Udc e Fini che non ha saputo resistere alla tentazione del simbolo con tatuato il nome del condottiero. Plurale è un valore, quindi. Intrinseco - ripeterlo è utile solo al Pd, dove le minoranze che hanno ragione di essere rispettate, acquistano spessore politico in un rispetto altrettanto doveroso: quello delle maggioranze che si sono espresse, democraticamente, e hanno indicato il leader in Pierluigi Bersani.
E Bersani che è un segretario che vive la pluralità e la interpreta, è l’espressione più eloquente di questa linea: indicato a dirigere il partito per quattro anni, ha offerto una proposta di riflessione interna sulla scelta del candidato premier forte e chiara. Nonostante lo statuto lo indichi naturalmente, quale vincitore delle primarie.
La prossima direzione nazionale del Pd è il luogo in cui affronteremo questi temi senza preclusioni verso le richieste che provengono dall’esterno ma che non possono rappresentare un diktat né un obbligo morale. Non saranno le spinte centrifughe di Vendola che invoca il nostro elettorato di sinistra e nemmeno quelle di Casini che richiama all’appartenenza cattolica i democratici moderati, a imporre la linea al Pd. Che su questo tema, sulla riconoscibilità di un percorso ragionato, scelto e condiviso, marca la propria differenza. A partire dall’uso delle primarie quale strumento per la selezione dei candidati al Parlamento, scardinando nei fatti una legge, prima dell’appuntamento con le urne, che blinda le liste elettorali. Non nominati, quindi, nel nostro partito, ma candidati liberamente scelti nelle circoscrizioni. Un primato di democrazia.
Il Pd vince se difende a destra e a sinistra le ragioni fondative della propria nascita e contemporaneamente costruisce le basi per raggiungere un obiettivo più alto e ambizioso. Sconfiggere, definitivamente, Berlusconi e il berlusconismo ovunque esso si annidi, senza replicarne lo stile e le modalità.
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