
Molti degli italiani che andranno a votare alle «primarie» del Partito democratico non hanno preferenze spiccate per questo o quello dei tre candidati. Molti di loro, giudicano anche assai cervellotico uno statuto che prevede allegramente il rischio di una rotta di collisione tra «iscritti» e «promessi elettori». E tuttavia, benché indecisi sulle persone e perplessi sul meccanismo, essi andranno a votare. Perché? Per due ragioni.
La prima è perché con l´attuale legge elettorale – congegnata in modo che sono i capi partito a «nominare» i parlamentari – dare ai cittadini la possibilità di eleggere liberamente il leader di uno dei due grandi partiti dell´«alternanza», è una maniera di riprendersi almeno un po´ di quello da cui sono stati espropriati. Di riavere in mano, sia pure in un modo indiretto, il filo di una aggrovigliata matassa. Di creare in un certo senso, condizioni di contagio anche per l´«altra parte» (dove segnali di insofferenza verso un «centralismo antidemocratico» cominciano a manifestarsi).
La seconda ragione (quella, forse, decisiva) è perché capiscono che la buona riuscita di queste «primarie» va ben oltre la vita di un partito. Quel che è in giuoco è la consistenza, e quasi la realtà fattuale, di una Opposizione che voglia contare nel complessivo equilibrio del sistema politico. È bene perciò scrivere Opposizione con la maiuscola: perché essa è una istituzione. Anzi, in una democrazia che voglia restare tale, è l´istituzione più necessaria per marcare il senso stesso, l´in sé, della vita costituzionale. È una dimensione oggettiva che deve avere solidità e fisionomia non solo nelle fasi elettorali e non solo in Parlamento. Ma deve essere riconoscibile, come voce e come proposta, in tutti i momenti in cui si «determina» la politica nazionale. Dice infatti la Costituzione che questa politica deve nascere dal «concorso» di tutti i cittadini associati in partiti quindi anche con quello delle minoranze.
Ora questo «concorrere», questa capacità di pressing sulle decisioni della maggioranza, non piove dal cielo o da astratte legittimazioni «ottriate» dalla controparte. In politica non ci sono regali. Anche essere «pesati» come minoranza è frutto di una lotta. Perciò, quali che siano le idee che ognuno può avere sulla «forma partito» e sulla sua perduranza, sulle involuzioni personalistiche o sulla loro necessità, sulle maniere nuove di rappresentanza democratica: valgono ancora (e ancor più varranno domenica) le vecchie regole. Solo una organizzazione politica che dimostri di avere la forza adeguata a rispondere ad una «grande chiamata» può avere anche la forza di essere e fare Opposizione.
Ecco perché chi andrà a votare per queste «primarie» – quale che sia il suo giudizio (o anche il suo non-giudizio) su una competizione di partito – darà comunque un personale contributo di qualità istituzionale.
Ogni giorno che passa cresce infatti la necessità di Opposizione: perché lo squilibrio tra poteri e garanzie istituzionali nel nostro sistema politico aggredisce ormai gli occhi di tutti, L´attuale maggioranza ci mette del suo, in forme abnormi. Ma le cause sono strutturali e incancrenite nel tempo. Non si ripeterà mai abbastanza quello che è ormai una evidenza storica.
Con la legge maggioritaria è saltato l´equilibrio complessivo della Costituzione del 1948. Questa si reggeva su un impianto proporzionalistico che qualificava non solo il rapporto governo-Parlamento ma tutto il sistema delle garanzie. È inutile perciò qualsiasi tentativo di ricucitura dell´ordine costituzionale che non parta dal ristabilimento di contropoteri e contrappesi all´enorme potere, di diritto e di fatto cumulatosi sul governo. È una pregiudiziale insuperabile.
Non sono in giuoco la «democrazia elettorale maggioritaria», né il «presidenzialismo personalizzato» e via dicendo. La questione è se queste figure di governo possono dirsi «democratiche» senza un adeguato disegno di «forme» e «limiti», come avverte l´art.1 della Costituzione.
Il sistema maggioritario comporta una vistosa distorsione funzionale di tutte le istituzioni. Governo, Parlamento, presidenza della Repubblica, magistratura, pubblica ammnistrazione,«al tempo del maggioritario» sono sottoposti a tensioni, disfunzioni, sovraccarichi, responsabilità, modi di essere in totale diversità rispetto al passato. Se non si riesce a ricreare intorno a queste istituzioni, una rete di regole e di convenzioni che ne assicurino una nuova «normalità costituzionale», pretendere di cambiarle dal di dentro è dannosissima illusione (quale quella che razionalizzi e legittimi poteri di fatto, in cambio di niente).
Queste elementari considerazioni sono rese più allarmanti dalle particolari anomalie di una legge elettorale che ha rotto il rapporto di rappresentanza personale; e di un bicameralismo parlamentare che non ha mai avuto rappresentanza territoriale.
In queste condizioni di neo-assolutismo, l´unico freno politico ad uno smisurato potere può venire solo da una convincente prova di tenuta partecipativa dell´Opposizione. Perché v´è bisogno di una Opposizione che faccia da contrafforte alle residue garanzie istituzionali della Costituzione, sotto minaccia quotidiana. Perché occorre una Opposizione che abbia la forza sufficiente e la credibilità per chiedere un risorgimento costituzionale: che porti ad un ristabilimento su nuove basi dell´equilibrio perduto, delle libertà effettive, dell´unità nazionale.
Non per un programma di conservazione, pronto alle «riformette» dunque ma per un programma di rivoluzione costituente, nello spirito del 1948.
È per questa idea di Opposizione che molti italiani andranno a votare, con coscienza di protagonisti, per le «primarie» di domenica prossima: al di là delle sorti di un partito.
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