
Nulla, in quel momento, è stato più forte della voglia di dire basta. Non il pensiero dei suoi figli, li fuori ad attenderla, né l'orizzonte ormai prossimo della scarcerazione, fissato tra soli sei mesi. Nulla più forte dell'angoscia e di quel senso di solitudine che la accompagnavano da tempo e che verso sera l'hanno assalita prendendo il sopravvento, mentre la sua compagna di cella era fuori per un permesso e le altre detenute assistevano alla replica di uno spettacolo teatrale, che lei aveva visto il giorno precedente. Ha compiuto, per uccidersi, gli stessi gesti che compie un detenuto per evadere: ha preso delle lenzuola, le ha tagliate e legato i pezzi l'un l'altro a formare una corda, che ha quindi annodato alle sbarre. Poi, invece di calarla silenziosamente della finestra della cella, se l'è avvolta intorno al collo, lasciandosi morire. Ma non è forse la morte una forma di evasione? Di certo lo è stata per lei, che chiameremo Lucia: trentaseienne fiorentina, mamma di due bambini di 9 e 4 anni, rinchiusa nel reparto giudiziario del carcere di Sollicciano a scontare una condanna per reati contro il patrimonio, furto e spaccio. Era stata trasferita Firenze dopo la chiusura della sezione femminile del carcere di Livorno e da allora rari erano stati i colloqui con la madre e il fratello. La sua pena sarebbe terminata a gennaio del 2013, tuttavia avrebbe potuto anticipare i tempi della scarcerazione accedendo, nel giro di pochi giorni, a un programma di recupero da seguire in una comunità per tossicodipendenti: una piccola grande speranza che però Lucia non ha voluto inseguire, affaticata com'era dalla battaglia ingaggiata da tempo contro la depressione. Si è così arresa, nella prima notte d'estate. Ma la sconfitta di Lucia - prima donna ad uccidersi in questo carcere che da gennaio ha già contato quattro suicidi e registra il doppio delle presenze regolamentari - è innanzitutto una sconfitta dello Stato, come ogni vita che si spegne mentre è sotto la sua responsabilità. Dall'inizio dell'anno sono morti nelle carceri italiane già 80 detenuti, dei quali in 26 si sono tolti la vita; 2012 i decessi di cui Ristretti Orizzonti ha preso nota dal Duemila a oggi e 717 i suicidi. Una strage che va fermata con un serio ripensamento del senso e della funzione della pena, soprattutto per i soggetti - e sono moltissimi - che come Lucia soffrono di disagi legati alla tossicodipendenza. E attraverso una riforma non più rinviabile di leggi come la Fini-Giovanardi sulle droghe, la Bossi-Fini sull'immigrazione e la ex Cirielli sulla recidiva, responsabili principali del sovraffollamento carcerario. Mentre oggi siamo ancora in attesa dell'approvazione del disegno di legge che del pacchetto di misure proposto dal governo per far fronte all'emergenza dovrebbe essere la "seconda gamba", dopo la prima, zoppa, costituita dal cosiddetto "svuotacarceri". Come ricorda il senatore radicale Perduta, durante una visita alcuni mesi fa, la ministra Severino si era commossa davanti ai bambini reclusi a Sollicciano con le proprie madri, ma a quelle lacrime nulla di concreto ha fatto seguito, se non altro sangue. Quello di Lucia e dei tanti che dietro le sbarre hanno perso ogni ragione di sperare.
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